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Candido

Candido

Prossimo futuro, dopo la pandemia. Candido è un rider. Come tutti quelli che tentano di fare il suo lavoro, gira in moto o in bicicletta, con il sole vento o pioggia, senza alcun tipo di tutele lavorative perché “i rider devono essere imprenditori di se stessi”, con turni massacranti e spostamenti enormi e continui, il tutto per pochi spicci. O meglio, pochi “crediti”: ve ne sono di vario tipo, a scelta (sempre pochi, però, per chi, come lui, proviene dai “settori esclusi” della città, le aree per gli emarginati sociali): sanitari, ricreativi o alimentari. A Candido, rischiando quasi di affamare se stesso e la mamma che con lui convive, interessano pressoché solo quelli ricreativi: i soli che gli consentono di collegarsi su “Voltaire” – la Rete internet ora si chiama così – con la splendida Cunegonda, donna per la quale prova un innamoramento che assorbe ogni sua fibra del corpo e della mente, pur essendo rimasto il suo un sentimento del tutto platonico, dato che Cunegonda è una ragazza che si collega sul web con mezzo mondo, appunto a illusorio scopo “ricreativo”. Candido percepisce, nonostante la sua proverbiale, stolta ingenuità, che c’è qualcosa che manca al suo mondo, qualcosa di cui in fondo hanno bisogno anche tutti i suoi colleghi rider e un po’ tutti gli “esclusi” che abitano nella sua zona: cercare di capire cos’è lo porterà, improvvisamente, a cambiare del tutto il concetto che si era fatto del mondo che lo circonda, e che considerava “il migliore dei mondi possibili”…

Candido, come Voltaire, come Cunegonda e altri personaggi che si incontrano nella narrazione, provengono direttamente dall’opera omonima del filosofo Voltaire, di cui in gran parte questo romanzo può considerarsi una rilettura, senz’altro più leggera e adattata alla contemporaneità. Il pregio migliore che connota questo lavoro è la capacità di spingere il lettore a riflettere e ad interrogarsi, con disincanto, su una serie di argomenti e di fenomeni degli ultimi 5 decenni di storia mondiale - la diffusione delle droghe pesanti per contrastare l’impegno politico dei giovani, lo sfruttamento capitalista e le sue articolate modifiche nel corso del tempo onde rimanere comunque efficace e spietato, l’avvento di internet e soprattuttto dei social network quale induzione alla stasi fisica e quale arma di controllo di massa dei comportamenti, dei gusti e delle idee collettive, la devastazione progressiva dell’ambiente e infine la pandemia come dittatura che divide biecamente il preteso malato dal sano - che, se collocati adeguatamente in un contesto d’insieme, portano a ragionamenti ancora più complessi ed inquietanti: è davvero questo il mondo che vogliamo, (o l’unico mondo possibile) o è invece finalmente il caso che ci si raduni e organizzi tutti insieme per far capire al sistema di controllo mondiale che non ne possiamo più, e tutti insieme – perché o vi si riesce tutti o non vi si riuscirà – sovvertire questo stato di cose, riconquistando una vita più umana, libera e dignitosa? La narrazione, pur connotata a volte da squarci illuminanti, ha spesso delle cadute nel superfluo o nel ripetitivo, e in generale ha un ritmo incostante: sarà forse perché l’opera è stata scritta a più mani, da un collettivo di scrittori? La trama è prevedibile, ma in fondo non è 2 questo un lavoro in cui conta più di tanto il susseguirsi degli eventi, piuttosto come detto la riflessione sulla “scena” in cui essi si svolgono: una società distopica in cui conta solo l’immagine, la ricchezza, lo sfruttamento del lavoro degli “esclusi”, che per qualsiasi protesta o problema rischiano di essere portati innanzi in sede di Composizione Amichevole delle Controversie, un Tribunale/talent show in cui la condanna è certa in partenza, bisogna solo stabilire quale.