
Xan Meo saluta sua moglie Russia ed esce di casa. Ha voglia di stare da solo. Cammina per St. George’s Avenue e arriva nella via principale di Londra, nei pressi dello zoo. “Era tardo pomeriggio, e fine ottobre. Quel giorno, quattro anni prima, la sua sentenza provvisoria era diventata assoluta, e lui in più aveva smesso di fumare e di bere”. Per Xan, quel giorno è diventato una ricorrenza da festeggiare: “due cocktail e quattro sigarette e mezz’ora di fremente rimembranza”. Dopo aver comprato le sigarette, continua a camminare e si dirige verso Hollywood. Entra in un bar; qualche chiacchiera col barista; poi ordina due drink: due Cazzoni, questo è il nome dei drink. Con un bicchiere in ciascuna mano, Xan esce nel cortile pavimentato del locale. Un passero si poggia sul bracciolo di una panchina. Xan si siede a bere e a pensare. Un uomo gli si avvicina e, dopo aver fatto una battuta a doppio senso su un passero, gli chiede: “Tu sei quello?”. Xan si alza in piedi perché si aspetta una mano da stringere. Ma l’uomo gli chiede: “Perché l’hai fatto, ragazzo mio?”. Xan cerca di capire a cosa si riferisca. L’uomo, che si chiama Mal, gli spiega che non avrebbe dovuto nominarlo; che non avrebbe dovuto nominare Joseph Andrews; mettere quel nome nero su bianco. Xan capisce che deve prepararsi a un’aggressione. Ma un attimo dopo questo pensiero, un sibilo gli annuncia l’arrivo di un colpo inaspettato: un terzo uomo gli sferra una manganellata sul cranio. Xan cade in terra, svenuto…
La storia di Xan Meo costituisce la principale tra le diverse linee narrative del romanzo. Ciascuna linea ha uno sviluppo autonomo ma, allo stesso tempo, lambisce le altre; come in un caleidoscopio in cui le immagini si intrecciano e si sovrappongono. E la sensazione del lettore è proprio quella di trovarsi di fronte a un caleidoscopio: immagini multicolori che mutano imprevedibilmente, di cui percepisci la bellezza ma di cui non riusciresti mai a descrivere la forma. La scrittura di Amis è funambolica ma gli accadimenti, qui, si perdono in infiniti rivoli di storie che allontanano dalla trama principale e non creano neppure un senso di attesa, un senso di curiosità per l’intreccio. È come se Amis avesse inteso realizzare più romanzi, e poi avesse mischiato le cartelle dattiloscritte come un mazzo di carte: nella speranza che alla fine il gioco sarebbe stato comunque avvincente. Ma il gioco è tutt’altro che avvincente: al contrario, affatica il lettore che, per intere pagine, continua a chiedersi che fine abbia fatto Xan Meo, e perché mai Amis ci stia raccontando di tutti questi personaggi che avrebbero titolo per essere protagonisti, ciascuno, di una propria storia. Amis ci racconta troppo: di Xan e degli altri conosciamo i pensieri, le riflessioni, le debolezze. E questo troppo risulta, nel complesso, disorganico e (paradossalmente) approssimativo. Siamo di fronte a un blocco di marmo pregiato sul quale l’autore ha deciso di scolpire una serie di figure in bassorilievo; e, invece, vista la quantità di marmo e la sua abilità di artista, avrebbe dovuto realizzare diverse opere a tutto tondo.