Salta al contenuto principale

Canterà il gallo

Canterà il gallo

È un inverno particolarmente freddo. Attraverso la fitta trama dei rami del bosco in cui sta cercando riparo, una giovane donna scruta il cielo. Il sole filtra a malapena, avrà ancora a disposizione pochissime ore di luce e deve fare più in fretta possibile. Osservare il muschio che cresce sui tronchi degli alberi, dirigersi verso nord, trovare il ruscello e camminarci dentro per far sparire le proprie tracce perché la staranno sicuramente cercando; e soprattutto raccogliere le forze e conservare il calore del proprio corpo. È scappata di casa in fretta; si è imbacuccata nei suoi pochi stracci, uno scialle di lana buttato sulle spalle, ed ha fatto in tempo a prendere solamente due uova e qualche fetta di pane. Chissà se le basteranno per sopravvivere; chissà se riuscirà a salvare il suo bambino. E mentre si accarezza il ventre prominente con la mano sporca di fango, osserva l’orizzonte da un rialzo del terreno: né una casa, né un punto di riferimento. “Non un filo di fumo, un campanile, un fiume. Niente di niente. Solo rami spogli e, più lontano ancora, su monti lontani, alberi azzurri a perdita d’occhio. Alberi azzurri”...

In un futuro distopico, improvvisi stravolgimenti climatici ed una tremenda siccità alla quale si sono aggiunti problemi di ordine energetico e sanitario, hanno costretto la popolazione mondiale a vivere in uno stato di emergenza. Molte persone sono morte letteralmente di fame, molte altre uccise dal carbonchio. Gli allevamenti intensivi sono stati aboliti perché i cereali troppo preziosi per essere dati in pasto agli animali; l’acqua potabile è un bene rarissimo e di certo non può più essere usata per l’irrigazione. I territori sono stati suddivisi in distretti, sui quali vigilano Forze Armate Autonome, quelle che i cittadini comuni chiamano “soldati” e che, in cambio di protezione e assistenza, chiedono ai cittadini dei contributi in natura e il rispetto di regole ferree, come quella che per contrastare il sovrappopolamento impone la politica del figlio unico. I rivoltosi, gli anarchici, sono severamente puniti. La giovane protagonista del racconto fugge dai soldati che la inseguono perché testimone di un’esecuzione sommaria e si addentra nel bosco con l’intento di raggiungere il famigerato villaggio degli anarchici dove si nasconderebbe anche suo fratello. Il lungo viaggio, che dura ben ventidue giorni tra stenti, gelo e paura, diventa metafora del percorso di conoscenza che porterà la protagonista ad una nuova consapevolezza e ad un nuovo percorso, non a caso indicato nel libro non come ultimo capitolo ma come “capitolo uno”. Lo stile è cupo, angosciante; al lettore sembra di provare sulla propria pelle i timori, le ansie e le difficoltà oggettive che la ragazza affronta durante il viaggio. Ma al tempo stesso il ritmo serrato, in cui i dialoghi e le descrizioni lasciano ampio spazio alla narrazione in terza persona che si fonde spesso con i pensieri della giovane donna protagonista, rende avvincente la lettura di questo lungo racconto di Rosanna Spinazzola ed apre uno spiraglio di luce sul finale, peraltro aperto. Che l’autrice abbia già in mente un sequel?