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Capelli, lacrime e zanzare

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La città di Livingstone, in Zambia, deve il suo nome a David Livingstone, il medico scozzese partito alla scoperta del continente africano negli anni ‘50 del XIX secolo. Lungo lo Zambesi, Livingstone ha scoperto le cascate Vittoria (Victoria Falls, dal nome della Regina d’Inghilterra del suo tempo). Non passa nemmeno un secolo, e l’Africa entra nelle mire dell’Italia fascista che, come parte di un più vasto disegno imperialista, istituisce l’Africa Orientale Italiana. Alla Guerra d’Etiopia ha preso parte anche il colonnello Corsale, il quale poi, una volta ritornato ad Alba, in Piemonte, non fa che raccontare aneddoti del periodo, alimentando la nostalgia del fratello Federico... Qualche decennio dopo, nel Surrey - Inghilterra meridionale - una promettente tennista di nome Agnes inizia a perdere la vista e presto deve rinunciare ai suoi sogni di gloria; la sua vita diventa abbastanza deprimente, fino a quando, un bel giorno, un giovanotto africano di nome Ronald giunge nella casa dei suoi genitori per un piano di studi che permette ai migliori studenti della Rhodesia di andare a studiare in Inghilterra. Il sollazzo offertole dal novizio studente d’ingegneria africano è talmente ritemprante che Agnes decide di lasciare la natia Inghilterra per andare a vivere a Lusaka, la capitale dello Zambia... E poi, ancora, Edward Makuka Nkoloso - un tizio strano, insegnante inusuale con aspirazioni socialiste, nel 1960 fonda l’Accademia Nazionale Zambiana di Scienze, Ricerca Spaziale e Filosofia: l’obbiettivo è atterrare sulla luna prima degli americani...

A un anno dai disordini statunitensi che hanno puntato i riflettori sull’ambiguo movimento che prende il nome di Black Lives Matter, e in concomitanza col campionato europeo di calcio 2020, che però si è tenuto nel 2021, e durante il quale alla fin fine l’attenzione generale si è per lo più nuovamente focalizzata sul ben noto dilemma di amletica memoria, ovvero se i calciatori dovessero inginocchiarsi o anche no, Fazi editore sembra cogliere la palla al balzo e pubblica questo interminabile e talvolta stucchevole romanzo (l’edizione cartacea è lunga 830 pagine) di un’autrice che nessuno conosce, che non pare aver scritto granché ma che in ogni caso ha già ricevuto una caterva di riconoscimenti vari; e comunque insegna ad Harvard - quindi va bene lo stesso. L’idea di base è semplice: raccontare il Novecento africano, dello Zambia in particolare, però dal punto di vista di un africano nero, non dalla solita prospettiva bianca. Idea più che lodevole. Ma leggere il romanzo della Serpell fa un pessimo effetto: a volte sembra di leggere un romanzo di Virginia Woolf, scritto però scimmiottando le pagine peggiori di Stephen King (e viceversa), per dare un’idea. La diga di Kariba, che il fuggitivo Federico era andato a costruire sul fiume Zambesi, ricompare molti anni dopo, eco forse del faro di woolfiana memoria, con pronipoti e trisnipoti di personaggi vari alle prese con un tentativo mal riuscito di sabotaggio politico. Scene di sesso annacquano qua e là il vuoto della trama. Da leggere proprio se non si ha altro da fare.