
Ramatoulaye scrive una lunga lettera a Mame-Diarra, amica d’infanzia, lasciando che il flusso della memoria scorra spontaneo sui suoi ricordi intatti, e poiché “la confidenza annega il dolore”, condivide con l’amica lo smarrimento che il lutto e la conseguente vedovanza le hanno provocato. Il marito Modou Fall è morto d’infarto, una fine improvvisa e inaspettata. “Non si prende appuntamento col destino”. La vedova è seduta a gambe distese, appoggiata a dei cuscini sotto una tenda improvvisata e osserva l’incessante andirivieni di amici, conoscenti o curiosi accorsi da tutte le regioni, delle donne parenti prossime che si danno da fare per la salma e il funerale, il coro di lodi cantate a squarciagola. Accanto a lei siede la sua giovane co-moglie, la seconda moglie di suo marito, trasferita da lei secondo le usanze, ma la sua presenza la irrita. Come da tradizione le cognate sciolgono le loro treccine, segno di buona condotta delle mogli: “una cognata non tocca la testa di una moglie che è stata avara, infedele o inospitale”. Gli uomini di ritorno dal cimitero sfilano davanti alla famiglia e porgono le loro condoglianze, mentre vengono distribuiti biscotti e caramelle, l’offerta ai cieli in cambio del riposo dell’anima del defunto…
Raccontare i fatti in forma di lunga lettera è un espediente molto usato in letteratura, ma la scrittura spontanea e lo stile quasi orale, ne fanno un’opera forte e intensa che trascina in emozioni sfaccettate. Mariama Bâ affronta temi che prescindono il tempo e lo spazio: amore, amicizia, perdita, sofferenza, dolore, abbandono, odio e rancore, delusione… e drammi comuni a ogni luogo, ogni epoca, senza tralasciare però i dettagli culturali che trasportano il lettore in Senegal e illustrano differenze di usi e costumi profonde e in alcuni casi difficili da comprendere: attraverso queste pagine l’autrice vuole mostrare il suo Paese e non serve anche a questo la letteratura? Non è anche uno strumento per incontrare, conoscere o fondere culture diverse? La narrazione procede lenta, malinconica, quasi cantilenante, come un racconto antico attorno al fuoco e l’autrice non perde mai quella dolcezza di fondo nel raccontare del marito, nonostante tutto, come se la scrittura non solo mettesse a nudo il dolore, peraltro condiviso con l’amica cui affida confessioni intime, ma fosse una medicina per affrontarlo e guarirlo. Ramatoulaye e Mame-Diarra sono molto moderne rispetto a chi le circonda, e pur non rinnegando le tradizioni, sostengono il cambiamento e l’emancipazione. Lunghi dialoghi si alternano alla narrazione e spezzano l’andatura cantilenante. Peccato per le note scarne a fine capitolo di questa edizione, che in qualche caso non sono sufficienti e lasciano termini o usanze un’incognita sospesa.