
Il piccolo Filippo detto Flip è un ragazzino dall’intelletto e dalla sensibilità assai vispi, ma dalla salute cagionevole: il suo cuore arriva a soli 30 battiti al minuto, spesso quindi Flip finisce in crisi cardiaca e ha necessità di essere rianimato col defibrillatore, quando addirittura non si rende necessario un intervento chirurgico. Vive perciò, già a dieci anni, una vita sul filo del rasoio, a maggior ragione considerando che cinque anni prima ha già perso entrambi i genitori in un incidente stradale. Da allora ad occuparsi di lui è suo nonno Paolo, settantanovenne anche lui non privo di acciacchi ma coraggioso e in gamba: è proprio lui a instillare in Flip la passione per il suo fumetto da sempre preferito, Tex Willer. Il bambino legge e rilegge gli albi di Tex, ne trascrive su un proprio diario le frasi più significative, e soprattutto riflette sulle caratteristiche delle vicende narrate e dei personaggi, traendo da essi le fila per domande universali e filosofiche, tanto di sua unica e personale iniziativa quanto, talvolta, in dialoghi profondi con il nonno. Il motore della sua vita, ciò che lo fa resistere in tutte le sue gravi peripezie di salute, è per Filippo la possibilità, più volte paventata dal nonno nel tempo, di conoscere, un giorno o l’altro, l’adorato Tex di persona, in carne ed ossa. Flip gli scrive una lettera a settimana, direttamente presso quello che ritiene essere il suo indirizzo in Texas, nella speranza che giunga presto una risposta…
Questo romanzo è un inno alla vita e per la vita, un’ode alle belle persone, un apologo di un certo modo di raccontare storie che era proprio del cinema e dei fumetti di vari decenni fa e che forse non tornerà più; intende farci riflettere sulla necessità di mettere da parte il più possibile computer e soprattutto telefonini, di ragionare e ricordare con la nostra testa e con la nostra voce, senza aiuti o filtri esterni. Ci fa capire che molte cose sono state perse dall’uomo per colpa propria, e che bisogna saper trarre frutto dall’enorme crisi attuale (anche e soprattutto quella scaturita dalla pandemia di COVID-19, che fa capolino più d’una volta nella trama del libro) sia da un punto di vista spirituale (“la crisi può essere vista come un buco o come un portale. Cadere nel buco o attraversare il portale dipende da noi”) sia da un punto di vista sociale, mantenendo il contatto e la cura con tutto ciò che vi è di più essenziale (e solo con esso), e non dimenticandoci di vivere e ridere il più possibile, nonostante tutto, perché “è attraverso la gioia che si resiste” (“senza la dimensione spirituale, cadiamo nel fanatismo; ma senza quella sociale, nel pessimismo”). Quest’opera ha il suo punto di forza nell’originalità, non solo evidente nell’idea di partenza ma mantenuta molto elevata anche nella struttura e nella visione complessiva credibile, pur nell’incontro di forme d’espressione così apparentemente distanti come i fumetti e la filosofia, la religione, la spiritualità dei pellerossa Navajo: mai come in questa fase, così critica e difficile ma da vivere in modo spiritualmente appagante, senza lasciarsi andare alla tristezza o allo svuotamento di energie, c’è bisogno di romanzi come questo.