
Nella grande Berlino c’erano luoghi che non avevano neppure un nome: come Miwepa, un piccolo agglomerato di poche case che ha preso il nome dalla fabbrica di cartone ondulato intorno alla quale è cresciuto. E lì è cresciuta anche una bambina con la sua famiglia, riunita spesso intorno al tavolo per mangiare e raccontare storie. Nella casa accanto alla sua vive Anna, la sorella di sua nonna, che siede sempre davanti alla porta per lavorare a maglia e pregare. A Berlino nel 1961 una notte in particolare è stata la più lunga, quella che non si può più dimenticare, la notte in cui si parte senza far rumore lasciando tutto, passando accanto ai soldati con il mitra e rimanendo alla fine del viaggio senza soldi. La casa ad Ovest invece è al centro di un incrocio di stradine, proprio dietro alla stazione, tra edifici distrutti e anneriti dalle bombe. Ha una grande finestra, ma nonostante questo non c’è poi tanta luce. Tutte le domeniche gli zii Erika e Jupp arrivano per il dolce e per raccontare le loro storie, le storie di una famiglia numerosa, straniera nella propria terra. E le casse di aringhe che arrivano dalla Norvegia apposta per il nonno non raggiungeranno mai la casa dell’Ovest, come tante altre cose…
Eva Taylor è tedesca di nascita e più di chiunque altro sa probabilmente che cosa ha rappresentato e significato la costruzione del muro di Berlino per tutti coloro che si sono trovati ad essere protagonisti, loro malgrado, di un momento tra i più drammatici e laceranti della storia recente d’Europa. E proprio come la bambina protagonista del romanzo chissà quanti altri bambini non capirono cosa stesse realmente accadendo e perché le loro famiglie furono costrette a partire nel cuore della notte lasciandosi dietro tutte le proprie cose, abbandonando casa e affetti, per non far più ritorno. Cosa significa essere profughi nel proprio Paese, non poter più attraversare i quartieri e le strade della propria infanzia? Non poter far visita ai propri parenti ed essere costretti a cambiare vita per poter sopravvivere? Eva Taylor prova a rispondere a queste domande con un romanzo sulla memoria e sull’importanza delle piccole cose come veicolo per i sentimenti più profondi e radicati, affidando ad oggetti comuni come le buste color carta da zucchero o ad una piccola nave d’argento il compito di narrare le vicende di una famiglia intera travolta dalla storia e dalla politica.