
Walatowa, 1945. È fine luglio, il caldo si leva dalle pietre tonde e lisce che costeggiano le sponde del fiume. Il vecchio Francisco guida una coppia di cavalle che, stanche, scuotono le teste facendo volare via dalle loro criniere sciami di mosche. L’anziano deve raggiungere la strada asfaltata, l’afa è tale che non si vede anima viva tra i campi e il silenzio è ovunque. Solo qualche cane che fortunatamente ha trovato una zona d’ombra per riposare, alza appena il muso per guardare passare il vecchio. Ormai è quasi primo pomeriggio, la corriera sta arrivando. Francisco è emozionato, il cuore che batte più veloce non mente. Ed ecco che dalla corriera che si ferma alla pompa di benzina scende Abel. È ubriaco, non ci sono dubbi: barcolla, fa qualche passo pesante prima di crollare a terra. Non riconosce il nonno. Francisco sente gli occhi colmi di lacrime, il suo corpo dimostra il suo dolore. Afferra il nipote e, simulando divertimento agli occhi di chi è rimasto sul mezzo, lo carica sul carro. Il cappello buono di paglia gli cade, la gamba quasi cede ma Francisco non desiste. È pronto a ripercorrere tutta la strada sul suo carro guidato dalle due stanche cavalle fino a casa. E il viaggio di ritorno è più veloce di quello di andata. Abel, arrivato a casa, dorme tutto il giorno e tutta la sera successiva fino a che spunta una nuova alba; il ragazzo si alza e va in giro per il paese silenzioso. Solo i cani abbaiano ma in maniera debole. Abel ripercorre la sua infanzia; certo ora è cresciuto, eppure si sente ancora un bambino...
Navarre Scott Momaday, nato nel 1934 in Oklahoma dalla pittrice Natachee Scott Momaday e dallo scrittore Al Momaday, è l’autore di questo libro vincitore del Premio Pulitzer per la letteratura nel 1969, prima volta per un nativo americano. L’autore, infatti, fa parte della etnia Kiowa, una popolazione di indiani d’America che tuttora vive nello stato dell’Oklahoma - dopo diverse peregrinazioni e spostamenti, lotte intestine e non - e che conta una decina di migliaia di membri. Il romanzo in questione è sicuramente un manifesto di tali origini ed emana un fascino particolare: rappresenta una realtà lontana che sembra perdersi e sfumare nel momento stesso in cui viene descritta; i personaggi che si susseguono vivono vite dense e vischiose di dolore e di solitudine; eppure, sembrano così impalpabili da disfarsi al primo soffio di vento contrario. Un sentimento di disagio permea ogni pagina di questo libro non facile che si sbroglia in circa sette anni a partire dal 1945 e in quattro parti ben distinte fra loro che a poco a poco riescono a delineare la storia di Abel, ragazzo nativo americano protagonista del romanzo. Abel viene più che altro raccontato da altri (l’amico Ben, soprattutto), i dialoghi sono essenziali, quasi inesistenti, la trama è tracciata a grandi linee: nulla è facile e scontato in questo libro che sembra rimandare al lettore il senso di straniamento e di disorientamento di una intera generazione e di diverse popolazioni costrette ad adattarsi ad un mondo sconosciuto.