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Casa Trelawney

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Castello di Trelawney, 4 giugno 2008. La dimora della famiglia Trelawney sorge su una rupe che guarda la costa meridionale del mare di Cornovaglia. Da quando, nel 1179, hanno conquistato il titolo nobiliare, i membri del casato hanno sempre lavorato d’astuzia e d’ingegno per farsi trovare sempre sul carro dei vincitori e il castello ha da sempre rappresentato il simbolo della loro ricchezza e della loro influenza. Ogni conte ha apportato modifiche alla costruzione e l’ha ampliata secondo il proprio gusto e ora il castello è il più bello della contea di Cornovaglia. Con il trascorrere dei secoli, tuttavia, l’ambizione dei conti Trelawney è andata scemando e gli ultimi otto conti vengono ricordati soprattutto per la loro dissolutezza e la loro inettitudine finanziaria. Quindi, cattiva gestione dopo cattiva gestione, l’antica fortuna si è ridotta a un cumulo di cenere: i simboli della ricchezza sono scomparsi e dei dipinti e dei mobili venduti all’asta restano ora solo le cicatrici: vuoti nelle stanze e quadrati o rettangoli scoloriti alle pareti. In mezzo a tanto disfacimento, tuttavia, una parte di giardino relativamente piccola continua a essere curata ed è proprio lì che in questo momento Jane, viscontessa Tremayne, nuora del ventiquattresimo conte di Trelawney e moglie dell’erede, Kitto, sta lavorando tra le sue rose. Conservare la dignità e la bellezza di quella parte di giardino è una vera e propria terapia per Jane. Smuovere la terra e potare i fiori appassiti ha un effetto calmante e le consente, anche solo per qualche ora, di non pensare ai guai di Kitto e alle grane che Ambrose, Toby e Arabella, i suoi figli, quasi quotidianamente le servono su un indigesto piatto. Oggi, poi, l’arrivo di quella lettera non fa che contribuire ad aumentare il gomitolo d’ansia che, da qualche tempo, si è fatta, suo malgrado, amica fedele. Recapitata dopo colazione, Jane – a cui uno strano sesto senso suggerisce che non aprirla sarebbe la scelta migliore – prova per un po’ a nasconderla tra le banane della fruttiera. Ma poi la curiosità prevale e Jane strappa la busta…

Evolvere, adattarsi al cambiamento, correggere il tiro e imparare, dalle difficoltà contingenti, a cambiare pelle come i serpenti, pur di sopravvivere e non soccombere. Questo è l’obiettivo che si dovrebbe perseguire sempre, ma in particolar modo nei tempi moderni, segnati dalla rapidità con cui le vicende si succedono e segnano in maniera definitiva il nuovo passo, a cui è necessario adattarsi per non restare indietro e finire inevitabilmente tagliati fuori. Purtroppo, però, la capacità di adattamento non è da tutti e, soprattutto, non è appannaggio dei membri della famiglia Trelawney, eredi di un casato con ottocento anni di storia alle spalle e proprietari di un castello che ha attraversato indenne i secoli, ma che al momento in cui prende avvio la narrazione, nel 2008, mostra evidenti crepe e cicatrici. I Trelawney – tutt’altro che classici rappresentanti di quella nobiltà che, da sempre, viene dipinta come coesa e tanto agguerrita da farsi barriera capace di attraversare indenne i terremoti che scuotono la società – vivono in una magione principesca infestata dalle erbacce; non sono in grado di coprire le spese necessarie per le manutenzioni della grande casa e, per fronteggiare la crisi, pasteggiano a carne macinata acquistata al discount. Non sono compatibili con i tempi in cui vivono, quindi. L’unica capace di adeguarsi al nuovo è la dimora di famiglia – che Hannah Rothschild umanizza, come se si trattasse di un vero e proprio organismo vivente, capace di pulsioni e sensazioni – che sa bene come sopravvivere ed è consapevole del fatto che ogni età, ogni sistema, se non esercita la propria capacità di adattarsi al cambiamento, è destinata a fallire. Con una prosa vivace e arguta e con un umorismo tipicamente britannico – amaro quanto basta e comicamente crudele – la Rothschild regala al lettore una commedia sociale interessante, la cui lettura è gradevole e ricca di spunti di riflessione. Una storia che analizza l’aristocrazia britannica e ne sottolinea eccentricità e vezzi; un intreccio che piacerebbe molto a Jane Austen e che invita a interrogarsi sul coraggio di osare, di indossare nuovi abiti e di non temere il nuovo.