
Una città di pianura del Nord. L’alto e ingrigito Andrea Modica, poliziotto acuto e capace, è il nuovo capo della Mobile. Lontane origini siciliane, dovrebbe insediarsi proprio il primo giorno d’autunno; la mattina prima fa un sopralluogo e comincia a studiare l’incartamento con verbali e relazioni sui due rapinatori seriali che in quattro mesi hanno fatto colpi in 7 tabaccai, 5 farmacie, 4 supermercati, 3 caselli autostradali, senza lasciare tracce. Barbara Monti, bella ispettore (ispettrice) single (con sulle spalle la triste storia di un figlio morto per un incidente in strada), lo interrompe, è stato rinvenuto il cadavere di un bimbo sepolto da parecchio tempo, vanno. Modica conosce bene la città: vi è cresciuto (possiede ancora la casa dei genitori ove si è trasferito) prima di girare di commissariato in commissariato, durante già 27 anni di successi investigativi e di servizio vario, compresi una pericolosa scorta in motocicletta con un “pazzo” alla guida e il devastante impatto con un camion. E conosce bene il prato della sepoltura: con i sue amici giocava sempre ai margini del bosco, alla fine della terza media accaddero proprio lì fatti che ora tornano alla memoria, amici e nemici per la pelle. La deliziosa ragazzina lentigginosa di cui era innamorato, i fratelli d’avventura, i figli di e i delinquentelli di allora sono ancora in zona, ognuno con un suo percorso, talvolta segnato talvolta scelto. Nel campo trovano poi tanti altri corpi, vittime di un serial killer, giovani bionde con gli occhi chiari, non violentate. Deve fare i conti col passato, con tutti i diversi casi criminali del presente e col riaffiorare dell’altra vecchia storia del Penitente: l’assassino forse non era morto. Ci si mette di buzzo buono, fra vecchiette ladre e corrotti nascosti…
L’ex poliziotto e attuale sceneggiatore di fumetti Antonio Zamberletti (Varese, 1963) narra sempre in prima persona sia l’angosciante presente sia (in corsivo) il decisivo anno di passaggio dalle medie inferiori alle superiori. Si era già fatto notare nei precedenti romanzi (il primo nel 2004 per Todaro): descrizioni d’atmosfera, trame competenti, personaggi non stereotipati. Qui riesce a tratti con destrezza (e pur con fatica) a tenere insieme molteplici piani temporali e complicati intrecci sociali, evitando eccessiva pesantezza. Vi sono due spazi cruciali: una cascina abbandonata nella brughiera, dove trascorrevano interi pomeriggi in gioventù, a un chilometro dalle ultime case, ai confini con un fitto bosco, da cui il titolo e la copertina; il quartiere Monfalcone, che prende il nome dalla via che lo attraversa per un paio di chilometri, case grandi tutte uguali, parallelepipedi di cemento grigio, niente verde, rifugio e teatro antico dei vari tipi di malavita, ancor oggi malfamato. Con la mitica Bella Blu, Cecilia Raimondi dagli occhi blu, capelli biondi e sorriso lieve, il buon Modica si era poi messo insieme fin quasi all’altare, mollato perché aveva fatto arrestare il manesco padre che aveva pestato la moglie fino a mandarla in coma. Lei se n’era andata via, diventando una famosa giornalista, inviata di guerra, reporter di prima pagina, prima di tornare a lavorare nel giornale di provincia dove aveva iniziato a scrivere ai tempi dell’insperato liceo. Storie parallele. E bevono sempre birra, accidenti!