
Napoli, primi anni Ottanta. Fabrizio è un ragazzino alto e bello. Sta ai Quartieri con la mamma, lavapiatti nei ristoranti, e con il fratello, serio e studioso. Lui inizia una sciagurata divertita esistenza criminale: sembra davvero molto abile nelle piccole rapine di strada, porta i fogliettini del lotto clandestino o del totonero in una busta, rivende pasticche di niente (il principio attivo del Plasil) a diecimila lire ognuna, finché entra nel clan del boss della camorra Ciro Mariano, non si droga, impara a usare bene la pistola, fa la scorta a persone importanti (soprattutto calciatori), diventa un killer efficiente, vive sotto falso nome. Ormai ha un fisico scolpito da modello, di gran successo: profilo greco, occhi neri, capelli corti, barba incolta, uno e ottantacinque, asciutto e muscoloso. Racconta di quegli anni nel gennaio 2013, di nuovo nella sua città: gli episodi salienti, l’intervento in aiuto a un altro scippatore durante il quale incrocia due moccoselli (sputa a uno e dà un calcio all’altro), poi la decisiva mattanza a piazza Trieste e Trento del maggio 1991, l’amore con una ragazza che aveva ferito, l’arresto e Poggioreale durante il processo, i carceri duri, l’amore con l’insegnante di italiano a Volterra, la fuga, la latitanza, la nuova vita in Francia. I due scugnizzi erano Big Babòl Faccia di Gomma e il vendicativo Emanuele, figlio di magistrato a contatto fra i vari mondi della città, un capo furbo. Non si farà scrupolo di utilizzare i meno giovani Omissis e padre Gaetano pur di stargli sempre col fiato sul collo…