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Cecità

Cecità

Semaforo verde. Tutti partono tranne uno. Un automobilista rimane fermo. Ma non c’è guasto meccanico. Tutto d’un tratto è diventato cieco. I suoi occhi gli mostrano solo un lattiginoso, sconsolante bianco. Un uomo si offre di accompagnarlo a casa ma gli ruba la vettura. Per poi rimanere cieco anche lui. Inutile andare subito dal medico, per il derubato, accompagnato dalla incredula ma calma moglie. L’oculista non si spiega il fenomeno. Arrivano a decine. Tutti all’improvviso ciechi, accecati da questo bianco informe. Si tratta di un’epidemia. Interviene il governo, i militari. Gli ammalati per precauzione esiliati in un’unica dimora, controllati da fuori. E dentro si scatenerà l’inferno. Perché da ciechi gli uomini diventano come bestie. Il cibo, il sesso, la semplice sopraffazione diventeranno regole di vita. Sarà terribile, anche senza vedere, perché si sente e si tocca comunque con mano l’orrore...

Immaginate una malattia nuova,, improvvisa e contagiosa. Non lascia scampo. Si perde completamente la vista in un secondo. Niente tv. Niente code di macchine in fila sulle tangenziali. Niente targhe alterne, niente listini dei prezzi dei generi alimentari che aumentano al supermercato, nessuno sguardo che tu possa osservare e che ti titilli, ti assolva, ti compiaccia, ti. Nulla. Un bianco, candido schermo. Un paradiso? Magari. Il paradiso non è in terra, ragazzi. E così, per istinto di sopravvivenza e non certo per intelligenza, dal vedere si passa al sentire, al toccare, annusare. Si riscoprono sensi inutilizzati o sottovalutati. E il dibattito, atavico ed un po’ avariato, se è meglio vedere o toccare riprende linfa e vigore. A pensarci bene abbiamo sempre qualche svista, qualche cosa che abbiamo visto male, in ogni nanosecondo e ci diciamo “va bene, poi vediamo”. La certezza di poter comunque osservare. E Cecità, romanzo del grande vecchio portoghese José Saramago, anche se forse non il suo migliore per i gusti particolari di un surreal-realista come me, ci racconta cosa succede se una malattia senza nome ammorba senza pietà in un paese senza nome una serie di umanissimi e quasi perfetti personaggi senza nome. E senza vista. Abbiamo così “il vecchio” e “sua moglie”, “il dottore” e “sua moglie”, “il ladro”, “la ragazza” contorta e disinibita, “il ladro”, “la prostituta”, o magari il vigile urbano, il ... il... il... Abbiamo. Tutti ciechi. Forse caratterizzazioni marcate fino ad emulare stereotipi, ma sicuramente non scollacciate e scollate figure di un teatrino delle maschere senza vita, ma pregne di vis comunicativa e di una loro autonomia narrativa. Uomini (e donne) con le loro vite e storie. Malati. E all’improvviso messi in quarantena, come virus di un computer. L’antivirus non è Norton 2011 o i suoi concorrenti, ma l’autorità precostituita, quell’ammasso informe ma possente chiamato burocrazia governativa, che nelle democrazie teoricamente viene eletta e dovrebbe mettere in pratica, ma che in realtà amministra e legifera spesso in maniera latitante o prolissa, comunque astratta ed astrusa per i “common people”, ovvero la gente che quando si desta la mattina non ha grandi compiti da affrontare, tranne che quello comunque improbo e complicato della vita da vivere. Questa mandria di pseudo debosciati e reietti, colpevoli di aver contratto una malattia così grave quanto sconosciuta ed inusitata, verranno giustamente messi al bando perché contagiosi. E nel loro angusto e isolato embargo daranno vita ad un’epica saga. Temetelo, l’uomo, quando è al confino. Si liberano forze che spesso il senso di civiltà tiene a bada. In realtà la enorme sequela di lotte e soprusi per cibo, acqua e altre necessità quotidiane quali il defecare e fare l’amore rivelerà un innato spirito bestiale e malnato in tutti gli improvvisati ciechi, che grazie all’escamotage narrativo di preservare la moglie di un medico dalle conseguenze nefaste della semi biblica condanna alla cecità, permetterà risvolti narratologici pieni di suspence, violenti ma non troppo sadici, tesi ad un finale d’autore, perché confezionato come la scrittura comanda, ovvero interessante e concreto, al di là delle opinioni di merito.