
L’aereo sta ancora rullando sulla pista e Michele - che non vede l’ora che quell’interminabile volo finisca e sogna di raggiungere in fretta l’albergo per fare una doccia e, finalmente, dormire - nota che l’aeroporto è davvero piccolo. Arrivi e partenze sono due edifici bassi e vecchiotti, mentre soltanto tre aerei sono in sosta nello scalo. Non si vedono né navette né pontili d’imbarco e l’aerostazione si raggiunge unicamente a piedi. Uscendo dall’aereo, una vampata di caldo lo investe e la camicia comincia ad inzupparsi di sudore. Benvenuto in Africa! ripete tra sé e sé Michele mentre si incammina sull’asfalto rovente e raggiunge la palazzina degli arrivi. Il controllo passaporti fila via liscio, mentre il ritiro bagagli appare fin da subito più complesso: valigie, zaini e sacche vengono buttati a terra alla rinfusa e non c’è l’ombra di un nastro trasportatore. Una volta recuperati i propri bagagli ed uscito dall’aeroporto, Michele nota, tra gli uomini in attesa, un tizio magro con un cartello in mano nel quale è scritto il suo cognome. Si tratta di Azizi, l’autista incaricato di condurlo in hotel. Il viaggio dura circa mezz’ora e Michele si perde fin da subito nella bellezza dei luoghi: molta foresta intervallata solo di quando in quando da qualche capanna, mentre il mare rimane invisibile e pare irraggiungibile. Solo quando anche gli alberi cominciano a diradarsi, Michele capisce che la meta è prossima e, quando finalmente l’auto si immette nel vialetto sterrato che conduce all’Hotel White Sand, si sente pronto per vivere una nuova esperienza, lontana da Bologna e dal gelo del suo inverno. Dalla reception si vede l’interno del complesso, formato da tanti piccoli bungalow, con il tetto di paglia, nascosti tra banani e palmi; al centro si nota una piccola piscina e, al di là della sala ristorante, composta da grossi pali e da un tetto, fa capolino finalmente l’azzurro del mare…
Un uomo solo, in fuga dalla sua realtà quotidiana. Un’anima che si è persa e che, per cercare di ritrovarsi, prende le distanze da una vita diventata troppo complessa e intraprende un viaggio in solitaria in una terra bellissima, lussureggiante e misteriosa. Il nuovo romanzo di Fulvio Drigani - autore di origine genovese ma dall’animo cosmopolita - si muove su due binari paralleli. Da un lato c’è la necessità, da parte del protagonista, di ritrovare un nuovo equilibrio, perso a causa di un episodio personale profondamente doloroso; dall’altro c’è la ricerca della verità rispetto ad una situazione singolare e misteriosa cui il protagonista viene coinvolto sin dal suo primo arrivo in quella terra magica e meravigliosa che è l’Africa, luogo in cui non c’è distanza tra vita e morte, mentre ingiustizie, lacerazioni sociali e commerci illegali ne minano alla radice le risorse. Michele cerca di risvegliarsi da un torpore profondo, di cui si è fatto scudo negli ultimi tempi per cercare di sopravvivere al proprio strazio, e di recuperare il rapporto con il figlio, difficile e tormentato, ma non esita a impegnarsi, allo stesso tempo, nella pericolosa ricerca di un uomo scomparso, ricerca che lo condurrà sì alla verità, ma ad un prezzo altissimo. Con una prosa vivace e un intreccio interessante, Drigani - che non sempre approfondisce, come forse meriterebbero, alcune dinamiche personali tra i protagonisti della storia - racconta di legami e tormenti dell’animo, di rimpianti e perdite, di superficialità e sete di denaro, di moralità e perdono. E, soprattutto, si interroga sulla verità, quella verità che non sempre è evidente e univoca ma spesso si nasconde tra le pieghe di percorsi articolati e tormentati, quella verità che può comunque aiutare a gettare le basi di un nuovo destino.