
Weimar, Germania, settembre 1816. Al mattino, poco dopo le otto, il cameriere dell’Albergo Elefante vede arrivare, con la posta ordinaria di Gotha, anche tre donne che, a una prima e fugace occhiata, non sembrano rivelare alcunché di straordinario. Si capisce fin da subito che sono una madre, una figlia e la loro cameriera. Mager, il cameriere dell’Albergo, uomo non senza istruzione, osserva il terzetto congedarsi dal postiglione e avvicinarsi a lui. La signora più anziana – una matrona piuttosto vicina alla sessantina, grassoccia, vestita con un abito bianco e uno scialle nero – chiede disponibilità d’alloggio per sé e la figlia in una camera a due letti e per la cameriera in una stanza separata ma non troppo distante dalla loro. Mentre parla, la signora osserva con sguardo opaco la facciata dell’Albergo, mentre la sua bocca si muove con una certa grazia. Da giovane deve essere stata una donna sicuramente più avvenente di quanto non sia ora la figlia, una giovane di una trentina d’anni con riccioli castani a cavatappi. La padrona dell’Albergo, la signora Elmenreich – busto eretto protetto da una giacca di lana e pettinatura alta – conferma la disponibilità, sottolineando che, tuttavia, a causa dell’elevato numero di clienti in viaggio con la servitù, non può garantire una camera singola per la cameriera, che dovrà dividere l’alloggio con l’accompagnatrice della contessa Larisch di Erfurt. La signora acconsente, certa che le due cameriere sapranno andare d’accordo. A questo punto non resta che scrivere due righe da depositare a Madama Elmenreich, nelle quali l’ospite declina le proprie generalità: si tratta di una formalità da espletare in caso di vita o di morte. Ecco, quindi, che la più anziana del terzetto, scrivendo, dichiara di essere la Consigliera di corte, vedova Carlotta Kestner, nata Buff, da Hannover. Mager, appena posa lo sguardo su quanto scritto, fa un balzo: la nuova ospite dell’Albergo altri non è se non la famosissima Lotte citata da Goethe ne I dolori del giovane Werther...
Nel maggio 1772 Wolfgang Goethe – giovane ventitreenne – viene mandato a Wetzlar, una località dell’Assia, dal padre, fiducioso che il figlio voglia progredire nella carriera d’avvocato cui l’uomo l’ha indirizzato. Durante il soggiorno, Goethe conosce la diciannovenne Charlotte Buff, bella ragazza orfana di madre e capace di provvedere a sé, al padre e ai fratelli. Tra il poeta e la giovane, promessa sposa al funzionario Johann Christian Kestner, nasce una profonda amicizia. Wolfgang nutre per la ragazza un sentimento più profondo, in realtà, ma decide di fuggire da Wetzlar prima di lasciarsi andare alla tentazione di sottrarre l’amore di Lotte a Kestner, divenuto anche lui nel frattempo caro amico del poeta. Lotte diventerà il calco della figura femminile, che porta lo stesso nome, presente ne I dolori del giovane Werther. Nel 1816, poi, la donna si reca a Weimar per fare visita alla sorella. Se si tratti di un pretesto o meno non è dato saperlo, ma quel che è certo è che l’incontro tra Lotte e un vecchio Goethe è un fatto acclarato. A questo punto interviene l’estro poetico di Thomas Mann che, partendo da questo episodio reale, costruisce un vero e proprio affresco dell’epoca che è, come al solito, un gioiello. Con una scrittura curata e attenta ai dettagli – la stessa che si può apprezzare in tutti i testi di Mann – l’autore colpisce l’attenzione del lettore che predilige pagine che scorrono lente, descrizioni meticolose alternate a dialoghi interminabili e a flussi di coscienza che scandagliano ogni piega dell’animo e analizzano ogni minima sensazione. Non mancano richiami al clima politico dell’epoca, né pagine in cui un fine umorismo alleggerisce la scrittura e tratteggia sul viso del lettore l’ombra di un sorriso. Insomma, Thomas Mann è Thomas Mann e ogni sua lettura merita attenzione.