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Chi ha paura del queer?

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Da vocabolario “queer” significa insolito, ambiguo, stravagante. La queerness cerca di liberare il concetto di identità dalla classificazione tradizionale e conservatrice “abbracciando l’idea di fluidità, ossia di un’identità che cambia o può cambiare nel corso della vita”, un’identità che non si uniforma più alla definizione sesso-genere. Se si dividono o, in altri termini, si classificano gli esseri umani per categorie di genere (maschile/femminile) “diamo per scontato che non esistano individui intermedi” e che le caratteristiche che si considerano proprie di ciascuno di questi generi “si escludono reciprocamente”. Ma ancora di più le peculiarità attribuite per genere determinano modi di vita e aspettative differenti. Se si considera ad esempio il mondo del lavoro, a un genere piuttosto che all’altro viene affidato un compito preciso, secondo un’ottica binaria; seguendo questa ottica quindi, a livello sociale, non possono esistere coppie omosessuali perché “nessuno dei due elementi adempirebbe a determinate funzioni”. In pratica si segue la logica aristotelica per cui la natura non può commettere errori, naturalizzando quindi capacità e mansioni dei due sessi, da cui deriva che chi non rientra nella casella del binarismo è considerato ambiguo e stravagante, o peggio mostruoso…

Il saggio in questione, oltre all’opinione di Victor Mora, scrittore e attivista, riporta anche riflessioni di personalità spagnole come Camen González Marín, filosofa e Gracia Trujillo, sociologa e attivista femminista queer. Il termine queer è saltato ultimamente all’attenzione dei più per essere stato più volte nominato dalla scrittrice Michela Murgia, da poco scomparsa, in riferimento alla sua famiglia, costituita da persone che non hanno un legame di parentela ma un’affinità affettiva, di “anima” come lei stessa amava sottolineare; in questo caso queer aveva e ha il significato di non convenzionale, fuori dagli schemi. Detto così è estremamente chiaro e forse un po’ semplicistico. Ecco, il saggio di Mora, al contrario, ne fa un’analisi molto più approfondita, a volte anche troppo scientifica apportando una percentuale di noia alla lettura. Ma chi ha paura del queer? Risposta facile: tutti quelli che considerano naturale tassonomizzare (ridurre a categorie) gli individui perché questa è la natura e se la natura così ha deciso così deve essere, se ci sono due generi non c’è posto per altri, non esiste una via di mezzo, per così dire. La teoria queer tende a smontare questo dogma per mostrare “un orizzonte nuovo, nel quale le determinazioni identitarie rappresentano qualcosa di superato” suggerendo “di iniziare a pensare alla non- esistenza di identità sessuali prefissate e/o rigide”. Anzi, sono proprio le categorie, che non sono esaustive perché non comprendono la diversità, a generare la discriminazione. Saggio sicuramente necessario per fare chiarezza su un termine abbastanza misconosciuto, peccato sia un po’ troppo filosofico, col rischio di far perdere l’interesse a molti non addetti ai lavori o comunque non avvezzi alla materia.