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Chiamiamo il babbo

Chiamiamo il babbo

Quando si trovano in casa solo loro quattro - padre, madre e le due figlie Paola e Silvia - lui ama recitare per intero il suo nome un po’ troppo pomposo: Ettore Euplio Emidio Scola. Finge di darsi parecchie arie, sia per Ettore, l’eroe omerico, sia per Euplio, santo patrono di Trevico - il piccolo paese in provincia di Avellino nel quale è nato e al quale è ancora molto legato, nonostante il trasferimento a Roma poco dopo la nascita -, sia per Emidio, che significa semidio. Mamma mia che nome altisonante, ripete con l’ironia e lo spirito tipico di chi ama prendere in giro chiunque, primo fra tutti se stesso. Sì, perché lui vede il lato buffo dell’esistenza ovunque e le figlie trovano immancabilmente tutti i difetti, le debolezze e le manie della gente comune nei film, nelle sceneggiature e nei disegni del celebre padre. Ettore Scola sa raccontare le sofferenze delle persone e affrontare temi pesanti utilizzando se possibile toni leggeri. È convinto, in questo modo, di riuscire a raggiungere molte più persone, perché la gente preferisce ridere piuttosto che disperarsi. Toni leggeri, tuttavia, non significa affatto superficialità. Anzi, Scola è un professionista serissimo e, a detta di entrambe le figlie, è “il più meticoloso dei rompicoglioni”: segue ogni singola fase della realizzazione di un film personalmente, in maniera serissima e quasi maniacale. È un uomo singolare Ettore, figlio di Peppino, personaggio altrettanto particolare. Affascinante uomo del sud, il signor Peppino era scontroso, diffidente, suscettibile, timido e molto pigro. Era anche piuttosto furbo, però. Quando non voleva essere coinvolto in qualcosa che gli risultava sgradita o che semplicemente non gli andava di fare, usava una sua formula: “Sarei una nota stonata.” Ovviamente questa frase è stata inserita nel lessico famigliare del clan Scola ogni qualvolta si cerchi di ribaltare a proprio favore una situazione scomoda...

I numerosi film di cui Ettore Scola ha firmato regia e/o sceneggiatura hanno contribuito alla creazione dell’identità culturale del nostro Paese. Ma cosa si sa davvero dell’uomo che si nasconde dietro al regista di successo? Le figlie Paola e Silvia, attraverso ricordi e divertentissimi aneddoti, offrono al lettore un ritratto inedito e sincero della figura paterna, un uomo che da sempre ha fatto dell’ironia uno dei suoi maggiori punti di forza. Il libro, il cui titolo è mutuato dalla battuta di un film che vede il grande Totò come protagonista, si snoda attraverso una serie di racconti, dettagli, riflessioni private che presentano aspetti inediti di uno dei più grandi registi del Novecento. Il racconto, che si arricchisce pagina dopo pagina di esilaranti battute, episodi commoventi e momenti pubblici e privati dell’intera famiglia Scola, segue anche la crescita di Paola e Silvia e il loro, inevitabile in un certo senso, inserimento nel mondo dell’arte cinematografica. Ogni episodio e ogni fatto raccontato diventano lo spunto per una nuova scena di una pellicola in lavorazione o per l’ulteriore caratterizzazione di un personaggio; situazioni spesso paradossali si fanno ispirazione per le battute di un nuovo film; episodi di vita tristi e cupi vengono stemperati dalla ricerca del loro immancabile lato comico e leggero. Le due sorelle Scola consentono di approfondire, offrendo un punto di vista privilegiato, la conoscenza della personalità tanto eclettica quanto sfaccettata di un uomo che ha lasciato un’impronta ben disegnata nel mondo del cinema e della cultura italiana. Le due donne, con tenerezza estrema, rievocano i loro ricordi sugli stessi episodi e sugli stessi argomenti, arricchendo i racconti di dettagli interessanti e di quel fantastico lessico famigliare costruito insieme nel tempo e arricchitosi di sempre nuove espressioni e modi di dire che sono diventati, a poco a poco, appannaggio esclusivo non solo dei membri della famiglia Scola, ma anche di tutta la schiera dei loro amici e dei loro affetti. Una storia di famiglia da cui traspare il talento smisurato di un uomo che fino alla fine si è considerato un artigiano del cinema, di un grande regista ghiotto di uova sode e curioso di vita, di un professionista che amava conservare i numerosi premi ricevuti sul terrazzo di casa e li osserva ossidarsi nel tempo, di un fumatore impenitente fiero del suo nome declamato per intero, del quale però amava pavoneggiarsi solo nell’intimità del suo privato.