
Lucia Minghetti, di anni novantasei, finora chiamata da tutti in paese “el tratòr” per la sua salute invidiabile, è stata trasferita al Manfredi, l’ospizio del paese, un edificio enorme a pochi passi dalla strada, dopo una degenza ospedaliera di due mesi a causa della frattura del femore destro. Il Manfredi è un rifugio per anime stanche senza nulla di poetico ed è lì che Serena, la nipote che studia fuori e torna a casa ogni weekend, si reca a far visita a quella donna orgogliosa, seduta con le spalle sempre dritte e lo sguardo puntato fuori dalla finestra. Insieme con lei tante altre donne, tutte sedute a testa bassa, occupate in attività varie, dal lavoro a maglia alla lettura di riviste sgualcite. Appena le si avvicina con le lacrime agli occhi per il dispiacere di vederla in quel posto, la nonna - una donna forte che non tradisce i suoi sentimenti - le impone senza tanti fronzoli di non piangere. Il ricovero è stato deciso contro la sua volontà dalla madre della giovane che si prepara in quel modo a liberarsi di una presenza scomoda che non le ha fatto vivere la sua vita come meglio credeva, sempre costretta a giustificare gli acquisti o le porzioni di cibo che per Lucia non erano mai oculati. Attraverso i ricordi e le vicende narrate con voce corale, la giovane riuscirà a capire più in profondità la vita di sua nonna ma anche quella di Mentina, che aspetta ogni giorno il maresciallo a cui deve raccontare che in quel posto le rubano tutto (a cui si affeziona al punto da piangerla accorata al suo quasi deserto funerale come se si trattasse di sua nonna) o di Bice, che invece ha male dappertutto e nessuno le crede più anche se con il dono della magia legge tutte le mattine le sue carte mettendole alla prova. Al Manfredi le giornate sono tutte uguali, ma le ospiti riescono a riconoscere i giorni dal cibo che viene servito a tavola o dalla messa la domenica mattina o ancora il giovedì dai fogli e i colori che la capo inserviente porta nella sala della ricreazione...
Un esordio letterario di una giovane autrice che in questo romanzo traccia le vite delle generazioni precedenti, anziani spesso parcheggiati nelle case di riposo e a volte senza più memoria. Valentina Preti ne rintraccia le vite con le loro gioie e i dolori e descrive l’esperienza dei grandi vecchi che sembrano non servire più ma ancora in grado di insegnare qualcosa a chi vuole imparare. Pennella ritratti molto veritieri di donne e uomini un tempo giovani che sono riusciti a lasciarsi alle spalle gli orrori della guerra e delle privazioni lavorando duramente e con dignità. L’autrice, ferrarese con una laurea in Comunicazione pubblica e privata, lavora come copywriter e redattrice testi, e si occupa anche di social media, organizzazione eventi e coordinamento ufficio stampa. Il romanzo, pieno di umanità, è scritto con garbo e sensibilità.