
Siamo nel 2020. Alessandra, ormai adulta, ricorda la sua vita. Nei primi anni Ottanta, tredicenne, si vede “(…) scialba. Bruttina, con in capelli tagliati male e l’abbigliamento anonimo”. La sua enorme insicurezza la porta a nascondersi al mondo: “lo facevo dietro mia madre. La ammiravo, era il punto di riferimento assoluto della mia vita. La seguivo ovunque, anche quando usciva per fare la spesa, afflitta dal timore che potesse accaderle qualcosa. Avevo la sensazione che il distacco di un’ora, un giorno o un mese potesse separarci per sempre”. È oggetto di bullismo, il che la rende ancora più rannicchiata in sé stessa. Qualche anno dopo, verso i 15 anni, quando riesce a farsi un paio di amiche, ad una festa incontra Michelle, una drammaturga e sceneggiatrice francese quarantenne che parla di arte ma anche di ribellione; ex sessantottina critica la scuola, l’atteggiamento dei professori e i ragazzi presenti la ascoltano a bocca aperta, Alessandra compresa. Visto che è la prima della classe, è certa di fare una buona impressione ma, quando esprime un pensiero, si rende conto che la donna la considera un’inetta, che non si sa esprimere e che oltretutto non ha concetti da esporre. Le cose cambiano quando, più avanti, Alessandra subisce una trasformazione: legge molto (Il secondo sesso di Simone de Beauvoir diventa il suo vangelo), cambia abbigliamento, vestendosi da “rivoluzionaria”, non studia più, in casa è aggressiva e inizia ad essere apprezzata da Michelle, che diventa il suo punto di riferimento, la persona a cui vuole assomigliare, sostituendola al modello della madre. Ma Michelle poi torna in Francia e Alessandra lentamente abbandona il suo personaggio di ragazza ribelle e, dopo la maturità, inizia a collaborare con la madre nel suo ufficio di contabile, prima controvoglia poi trova la forza di continuare vestendo questa volta i panni della donna in carriera, presentandosi al lavoro sempre con una ventiquattrore, vuota, ma che fa tanto il ruolo che si è proposta. Inventarsi un’identità, recitare un personaggio, per riempire il vuoto di un IO che non sa trovarsi non è sano e infatti, di lì a poco, Alessandra inizia a soffrire di attacchi di panico. Riuscirà mai a trovare il suo vero Sé?...
Chi è Alessandra, l’Io narrante della storia? Paola Ladogana, giornalista pubblicista romana alla sua prima esperienza narrativa, toglie subito il dubbio che ci si trovi di fronte a un romanzo autobiografico o a un romanzo di pura fantasia: nell’introduzione spiega che “questo libro è liberamente ispirato a una storia vera”, la sua storia, ma dove sia il confine tra immaginazione e realtà non è possibile identificarlo esattamente; ci sono personaggi inventati, persone reali a cui è stato cambiato il nome, avvenimenti reali o creati appositamente per l’economia della trama, non si sa se alcuni dei comportamenti iperbolici di Alessandra siano stati veramente vissuti da Paola o se, anche in questo caso, siano propedeutici alla narrazione. L’intreccio ha un andamento analettico: Alessandra/Paola adulta racconta saltando dal suo oggi alla sua adolescenza, dall’infanzia all’età matura, facendo entrare il lettore nella sua difficile esistenza, nel rapporto altalenante con la madre che passa dall’idolatria (da una confusissima e irrisolta “fase dello specchio”) alla freddezza quando colpevolmente Alessandra si lascia irretire da donne vampiro narcisiste delle quali adotta la personalità comunque affascinante, lei che non ha consapevolezza del proprio Sé e non ha una sua identità definita. Sarebbe una lettura ancora più piacevole se non ci fossero una quantità di riferimenti a canzoni e a programmi dell’epoca, che danno sì il senso del periodo storico ma che appesantiscono la lettura e se alla fine di quasi ogni capitolo non ci fossero quei minimi flash-forward che anticipano avvenimenti dell’immediato futuro, che tolgono la curiosità dell’evolversi della storia. Non posso tacere un errore che non posso e non voglio chiamare refuso, un “camice” (plurale di camicia) da brividi. So bene che praticamente in ogni libro edito, anche da case editrici maggiori, uno o due refusi si trovano purtroppo, ma insomma questo è un caso davvero sgradevole. Il pregio del libro risiede sicuramente nel mostrare la complessità del rapporto madre/figlia, nel desiderio di affermarsi come donna che lavora, con una propria e precisa identità, e nella forza che Alessandra mostra nel non arrendersi mai, nel cadere ma rialzarsi sempre e nel trovare il coraggio di chiedere aiuto.