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A ciascuno il suo lago

A ciascuno il suo lago
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Quando rientra in casa ormai è pomeriggio. La casa è vuota. Così come la camera di suo figlio. Decide di varcarne la soglia. Ciò che vede è sorprendente. La stanza è come se fosse un’unica gigantesca ragnatela. Ci sono frasi sparse ovunque, che partono dagli angoli e si uniscono, si cercano, si rincorrono, sono una vera e propria immensa e incredibile matassa di fili, una rete, materiale, concreta, i pensieri sono come delle corde, o delle liane che lo avviluppano. Cammina come in una giungla, inciampa, raggiunge finalmente i libri. Quando li osserva con attenzione, però, vede che dentro non c’è nulla. Si tratta solo ed esclusivamente di pagine bianche, da cui la sintassi è scoppiata via come una bomba, come una pentola che strabocca. In quello stesso momento però anche suo figlio rientra in casa. È sbigottito. Ha lo sguardo severo. Si stringe la testa in mezzo alle mani, dice che adesso non c’è più niente da fare, che nulla ha più un senso, che tutto è irrimediabilmente perduto. Per colpa sua. Lo rassicura. Gli dice che rimetterà tutto a posto. Ma il figlio è già fuori di casa. Ha sbattuto la porta, corre via. Non resta che ricomporre le frasi in base al senso, e poi si mette a scrivere il suo diario. Si domanda se ha mischiato erroneamente le frasi, e se, qualora fosse accaduto, suo figlio riuscirà a imparare lo stesso a vivere. È un pensiero spaventoso. Buffo. Strano…

In narrativa il cronotopo rappresenta per definizione l’interconnessione dei rapporti spaziali e temporali in un testo letterario, che ne determina le qualità della forma, ossia del genere di appartenenza, e del contenuto: è uno degli elementi fondamentali della costruzione della trama e dell’intreccio, ed è anche in questo caso specifico il primo e il più importante sostrato che, con abilità, viene rivoluzionato. Joldeski, infatti, scrittore macedone giovane ma già pluripremiato e di ampio respiro, che prende le mosse dal canone per poi sovvertirlo, in questa raccolta, che dà anche l’impressione di voler rappresentare la dimostrazione concreta di tutta la ricerca che è alla base del processo creativo, fatta, a parte uno, di brevi – alcuni brevissimi – ma assolutamente compiuti racconti, metaletterari, solidi come veri e propri romanzi a sé stanti, caratterizzati da una lingua emozionante, lirica, complessa, immaginifica, vibrante, simile a quella della poesia ermetica, o a un organismo che continuamente muta, respira, si evolve, rimanendo al tempo stesso coerente, spinge la forma alle estreme conseguenze, dando vita a un minimalismo ricchissimo, condensato, mai ostico però. Non si muove necessariamente seguendo la cronologia. Le frasi sono chirurgiche, spesso anche solo nominali. Cambia continuamente registro e voce narrante, affronta numerosissimi temi, il potere salvifico della scrittura, il dolore, l’inettitudine, la memoria, l’inadeguatezza, la frustrazione, la tristezza, la nostalgia, la perdita delle radici, la frammentazione dell’io, lo smarrimento, l’alienazione, l’invecchiamento, l’amore, la morte, la vita, insomma, in tutte le sue sfaccettature, raccontando conversazioni, email, sfogli, soliloqui o dialoghi fra uomini e donne alle prese col quotidiano e non solo: e quello che sembrerebbe rischiare di essere disomogeneo in realtà è profondamente organico. Del resto un lago è un bacino chiuso, nelle cui acque galleggiano o sono sciolte molte diverse componenti: un po’ dunque come la metafora del paese a cui tornare per Pavese, quella del lago, dell’unità in cui tutto si ricompone, prendendo spunto dalla biografia e dalle radici dell’autore, che è nato lungo le rive del bellissimo e celebre lago di Ocrida, rappresenta la sua stessa idea di letteratura. A ciascuno il suo lago ha vinto nel 2016 il Premio dell’Unione Europea per la Letteratura.