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Cinecittà

Cinecittà
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Lei è la figlia di una tedesca miracolosamente scampata alla Shoah. Si chiama Lizzie. È una donna di successo, agiata, che vive a Tel Aviv insieme ai due figli e al marito Dani. Scrive libri e lavora per costruire la pace nel Medio Oriente. Lui è un arabo palestinese, sposato e con prole, residente a Gerusalemme. Si chiama Nadim. Insegna italiano, ma la sua professione è quella del fotoreporter. La moglie Laila è di Gaza, dettaglio per il quale a Gerusalemme non può che vivere una vita da reclusa, rifugiata, estranea. Lizzie e Nadim si incontrano per la prima volta a Roma, durante uno di quei convegni cui partecipano personalità capaci di dialogare nell’ingarbugliatissima trama dei rapporti tra israeliani e palestinesi. Inizialmente regnano tra i due il sospetto, la diffidenza, la paura. Lizzie teme che quell’apparente gentiluomo possa farsi saltare in aria da un momento all’altro. Nadim nutre nei confronti della nuova conoscenza un astio, un rancore che hanno a che vedere con secoli di incomprensioni e vendette. Sembra un’accoppiata improbabile, anzi impossibile. Eppure, con la pazienza del tempo, abbandonato da entrambi il conflitto dei pregiudizi, ecco un’amicizia che è gesto di ascolto e comprensione, in primo luogo desiderio di immedesimazione, empatia, compassione. Lizzie si batte per anni affinché Nadim possa risolvere la terribile situazione della sua famiglia. Bombardamenti, sangue, morte, sirene e notti nei rifugi, silenzi assordanti separano i destini dei due amici, li allontanano…

Un intenso romanzo, il sesto della nota scrittrice Lizzie Doron, pubblicato dal Giuntina non senza coraggio. Sì, perché parlare della relazione tra israeliani e palestinesi è cosa ardua non solo perché sembra di camminare su un filo incandescente, ma in particolare per il fatto che si tratta di una vicenda davvero complessa, nella quale ci si sente letteralmente “fuori posto”. Il bello è che l’autrice costruisce il libro intorno a un sentimento panico qual è l’amicizia, alla quale non serve una lingua comune, una cultura analoga, una religione condivisa. Si è amici d’anima, per scelta. E la determinazione, la durezza di questo vicendevole affetto sono testimoniate da una narrazione efficace e ammirevole, autentica e forte. La Lizzie del libro e Nadim, nonostante diversi, nonostante educati a odiarsi, imparano a volersi bene, a essere fratello e sorella nel lungo cammino verso quella chimerica costruzione di tolleranza tra popoli. Tra loro il patto non può che essere intimo, certamente minuscolo rispetto alla grandezza della Storia che li comprime da sempre. È appunto un patto d’amicizia e di parola. La parola Cinecittà, che non è banalmente il titolo dell’ultima opera di Lizzie Doron, bensì la promessa che la protagonista fa al suo compagno di sventura: quella di dedicare un libro alla sua personale tragedia e al suo riscatto. Cinecittà è un impegno dunque e in misura maggiore un sogno per Nadim, il sogno di realizzare una vita possibile nella dignità, nella medesima città, Gerusalemme, in cui l’Est e l’Ovest non rappresentino più linee di confine e di armi, ma l’unione tra individui con lo stesso diritto di essere nel mondo.