
Sebbene siano simbolo dell’unione dei continenti abitati ed espressione universale di ciò su cui lo sport si dovrebbe fondare - ossia un universalismo basato sul confronto agonistico fra pari - i cinque cerchi della bandiera olimpica paiono piuttosto cinque cerchi forzatamente connessi, barriere atte a dividere atlete e atleti, atte a separare le donne dal pieno raggiungimento della parità di genere, in un ambiente, quello sportivo, costruito ad immagine e somiglianza di una cultura di massa in grado di rendere i cinque cerchi baluardo di una grande contraddizione: l’esclusività maschile. Stabilire dunque dove finisce la politica e inizia lo sport diventa impossibile e le disuguaglianze tra uomini e donne di cui si impregna la società iniziano a farsi man mano più evidenti nella misura in cui è, la figura della donna, connessa a stereotipi che la vedono slegata dall’essere un’atleta e più vicina al ruolo di moglie e madre. Uno smacco nei confronti del “sesso debole” che si protrae per decenni attraverso non solo pareri medici poco condivisibili determinati ad allontanare la donna dall’agone sportivo, ma anche attraverso lo scetticismo di giornali e addetti ai lavori o l’esistenza del gender salary gap... sintomi di una società discriminatoria capace oltre che di rispecchiare una precaria situazione mondiale, di determinare persino in ambito sportivo disuguaglianze basate su sesso, classe, provenienza…
Federico Greco in Cinque cerchi di separazione punta l’obiettivo su un aspetto dello sport, quello delle barriere di genere, spesso nascosto dietro una patina fatta di tifo e spettacolo, in cui la sublimazione della disciplina prescinde le disparità e rende quella per l’uguaglianza una complicata battaglia non ancora vinta. Cinque cerchi di separazione è, come annunciato nell’introduzione, quello che può definirsi un “ibrido necessario”, a metà tra saggio e narrativa, un percorso ideologico che riesce allo stesso tempo ad analizzare il dato sportivo ma anche ad offrire la visione non edulcorata di un panorama socio-culturale profondamente toccato dalle disuguaglianze, attraverso l’aneddotico racconto dell’intero ambiente, spesso esaltato e lodato a priori nonostante le barriere di genere, di classe e di razza su cui si poggia. L’autore segue passo dopo passo le battaglie che nella storia sportiva hanno portato, se non ancora alla totale uguaglianza, per lo meno ad una diminuzione della distanza che prima separava uomini e donne all’interno non solo delle competizioni ma anche, più in generale, all’interno della disciplina di per sé. Il saggio segue una prospettiva basata sui fatti più che sulle ideologie e dimostra quanto in realtà lo sport sia universale secondo una visione oggettiva in grado di determinare come i grandi pregiudizi hanno avvolto la comunità sportiva sin dagli arbori. Un saggio curato e interessante che non si lascia guastare da politicismi vari ma che segue anzi una verità universale: quella narrata dai fatti