
Fernando Retencio lavora da più di cinque anni in Soluzioni, l’azienda che si occupa di risolvere i problemi (di qualunque tipo siano) dei suoi clienti, ma non ricorda di aver mai trascorso due giorni consecutivi con gli stessi colleghi nello stesso ufficio; ragion per cui ritiene assolutamente inutile familiarizzare con qualcuno dei Pérez (a che serve conoscerne persino i nomi?) intercambiabili che lo guardano con diffidenza e sufficienza dalla postazione a fianco – cosa che fa ovviamente anche lui con loro. Quello che è davvero importante, invece, è ascoltare i messaggi del Signor Sorriso, il capo, ululati ogni tanto dai megafoni, che suonano come versi incomprensibili e che ogni impiegato sa (o crede di?) interpretare alla perfezione; e soprattutto importantissimo è tenere d’occhio il tabellone elettronico all’ingresso che, oltre ad assegnare le postazioni di giorno in giorno, rivela il livello di efficienza raggiunto da ogni impiegato e quindi il gradimento da parte dell’azienda. Il tabellone è in continuo aggiornamento, secondo oscuri calcoli e valutazioni, anche perché all’improvviso può capitare che ad una postazione si presenti l’allegro gruppetto delle cheerleader che con il loro balletto e la festosa canzoncina “Del licenziamento felice” mandano via il malcapitato di turno. Non serve altro per essere licenziati a Soluzioni, dal momento che quando si accetta il contratto di assunzione si firmano anche le dimissioni, destinate a diventare effettive in qualunque momento il Signor Sorriso lo voglia. Ma Fernando è certo di stare per raggiungere il vertice assoluto, convinto che le sue regole assolute – una delle quali recita che “la soluzione più evidente non era mai quella adeguata” – lo guidino nella giusta direzione e che sia necessario distinguersi con una creatività non comune; come la sua ovviamente. È certo che ogni piccolo passo avanti lo stia conducendo ormai “verso il compimento del suo anelito più profondo: raggiungere il grado di cintura nera” e che ogni Pérez che scompare dal tabellone sia “un verme in meno da schiacciare”. “La cintura nera è prima di tutto uno stato dell’anima”, scrive Retencio sul suo taccuino, e per diventarlo bisogna essere determinati, spietati e guardare soltanto all’obiettivo. Per realizzare le soluzioni per i suoi clienti Retencio può contare sull’aiuto del factotum Dromundo, che vive con la sua povera famiglia nel parcheggio sotterraneo di Soluzioni; è sempre lì a disposizione e non fa una piega se l’uomo lo costringe ad alzarsi dal water di corsa perché vuole parlagli o se lo prende in giro per via delle vesciche che infestano la sua testa. Quanto ai momenti di turbamento e ansia l’azienda ha una soluzione farmacologica sulla quale non lesina: le pillole fornite dal Dott. Lao, il “medico dell’anima di Soluzioni”. Retencio ha anche una moglie molto bella, Karla, che lavora nello stesso edificio all’Atelier della Povertà, ente benefico che si occupa del recupero dei poveri attraverso la produzione di opere d’arte create da loro e messe in vendita, sotto la guida della caritatevole Signora Estela Cipiglio. Retencio è patologicamente geloso di sua moglie e in questo periodo è tormentato dal fatto che Karla deve collaborare con un attorucolo belloccio e intraprendente e che i due devono addirittura partire per un tour insieme. La situazione precipita quando all’improvviso, già provato dalla gelosia che sta esasperando sua moglie – nonostante regali di conseguenza momenti di tale eccitazione che si trasformano in memorabili performance sessuali ‒, si ritrova licenziato, a dispetto dell’impegno profuso in un paio di casi complessi come quello del pugile che non vuole più combattere da quando si è convertito alla meditazione zen a causa della zoccola di cui si è innamorato – Retencio l’ha capito subito che era colpa sua appena l’ha vista. Che cosa è successo? E adesso? Come farà Retencio ad ottenere l’agognata cintura nera?
Cintura nera è il primo romanzo ad arrivare in Italia del messicano Eduardo Rabasa, traduttore, giornalista, scrittore, editore della Sexto Piso e cantante rock, già autore di La suma de los ceros , non ancora arrivato in Italia. La definizione perfetta per questa storia ironica, amara, bizzarra e divertente ce la suggerisce lo stesso Rabasa nell’intervista che ci ha rilasciato, nella quale ci dice di averla mutata dal pensatore britannico Mark Fisher, ai cui saggi si sta dedicando in questo periodo, che ha parlato di Realismo grottesco. Il protagonista del romanzo, Fernando Retencio, è un giovane rampante deciso a scalare le posizioni all’interno della sua azienda per raggiungere il suo obiettivo. Ambizione e frustrazione sono le costanti delle sue giornate, nelle quali non c’è spazio quasi per nient’altro e persino i rapporti personali – nello specifico il legame con sua moglie – sono costantemente minati dal timore di perdere, di essere sconfitti, scartati, dalla sensazione straniante di minacciosa precarietà. Il sistema in cui si muove questo protagonista meschino e patetico, capace di rendersi ridicolo sia nei momenti di esaltazione che in quelli di abbattimento, assomiglia pericolosamente a quello realmente esistente (a livelli diversi) – naturalmente esasperato nella finzione letteraria – nel nostro mondo del lavoro, soprattutto nelle multinazionali, e nei rapporti umani all’interno di essi. L’humour nero – che Rabasa ritiene indispensabile per reagire alla realtà, soprattutto in riferimento a quella messicana che conosce meglio – serve all’autore per prendere in giro il suo protagonista e il modello che incarna, quello che ci fa apparire il Capitalismo come “l’unica opzione possibile” di cui crediamo di conoscere alla perfezione le regole, proprio come avviene all’interno dell’azienda Soluzioni, nella quale il Signor Sorriso elargisce, attraverso i megafoni, i suoi versi senza senso che gli impiegati sono convinti di comprendere. In questo mondo in cui il lavoro è tutto – spaventosamente coerente con quello della nostra realtà quotidiana – il terrore psicologico di perdere la propria posizione e il desiderio spasmodico di elevarla finiscono per dominare persino il privato; per tenerli a bada esiste soltanto la strada degli psicofarmaci. All’interno dell’azienda Soluzioni, il Dott. Lao non ha mai parole o suggerimenti da offrire agli impiegati ma soltanto pillole e una frase: “Solita dose?”. Non è una evidentissima satira sociale che allude a tante caratteristiche della nostra realtà? Ma è anche una distopia sociale che ricorda assai da vicino l’autore di riferimento caro a Rabasa, George Orwell; una distopia, questa, per la quale l’autore messicano ha preferito una chiave grottesca ad una drammatica, a differenza di Orwell, che rende il racconto piacevole e divertente, senza evitare, però, di lasciare un inevitabile retrogusto amaro. Valga per tutte l’immagine delle cheerleader che arrivano a licenziare davanti a tutti i colleghi – che, incattiviti dalla competizione, gioiscono senza inibizioni – il Pérez di turno (cognome che in Messico è comunissimo e che perciò nel romanzo sta ad indicare la spersonalizzazione degli impiegati, l’uno agli occhi degli altri), con un balletto allegro e una stupida canzoncina canzonatoria. Una voce certamente originale, quella di Eduardo Rabasa, che avrà sicuramente ancora tanto altro da dire in futuro.
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