
Annunciato e atteso sequel de La banda dei brocchi, Circolo chiuso di Jonathan Coe condivide con il suo prequel non solo i protagonisti, i luoghi e le atmosfere, ma persino diversi aneddoti che rimbalzano da un romanzo all’altro – riechieggiati, chiariti, o ampliati – fino a porre la parola fine sulle molte questioni lasciate in sospeso in precedenza. Ciononostante, le due storie si possono leggere sia in sequenza che separatamente – o addirittura all’incontrario, se si amano le sfide. Come sempre, Coe mescola alla fiction eventi di cronaca e politica recenti (dal 1999 al 2003), passando tra la protesta contro la chiusura della fabbrica Rover a Longbridge, fino alla partecipazione inglese alla guerra contro l’Iraq, l’ascesa di Tony Blair e l’11 settembre. Sebbene il romanzo scorra che è un piacere, l’incastro della trama è così raffinato che è difficile trovare il suo filo principale fino a poco prima dell’epilogo. I protagonisti – che non sono solo solo i fratelli Trotter e le sorelle Newman, ma anche “i brocchi” Doug Anderton, Philip Chase, Sean Harding e Culpepper – sono rimasti in contatto tra loro (chi più, chi meno) dai tempi della scuola, eppure ognuno è chiuso in se stesso, immobile e incapace di dare una svolta decisiva alla propria vita. Così, Circolo chiuso è una sorta di microuniverso determinista nel quale le scelte fatte in gioventù – per libero arbitrio o per eventi storici incontrollabili - condizionano il resto dell’esistenza in un loop di errori commessi e ricommessi. A salvarci da questa visione a dir poco tragica, c’è però l’immancabile ironia di Coe, anche se il monologo di Lois sugli attentati – scritto nel 2003 – sconvolge ancora per la sua attualità.