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Colette - Un sogno audace

Colette - Un sogno audace

L’infanzia di Sidonie Gabrielle Colette, nata il 28 gennaio 1873, è un vero paradiso. Dalla figura materna impara a conoscere la natura e a parlare con gli animali, mentre il padre le trasmette i suoi sogni, ma non la capacità di realizzarli. Infatti, proprio a causa del padre e del tracollo finanziario da lui provocato, la giovane Colette apprende l’arte di improvvisare, divenuta fondamentale allorché la famiglia si ritrova a vivere improvvisamente in uno stato d’indigenza. Al momento della sua nascita, le levatrici si comportano in modo talmente distratto che – vedendo la neonata grigia in faccia - pensano sia morta e non si affannano neppure a tentare di rianimarla. Solo quando sua madre lancia un grido di protesta, le levatrici si ravvedono e scongiurano il dramma che di lì a poco si sarebbe potuto consumare. Colette cresce sana e colorita ma nel 1890, all’età di diciassette anni, i genitori sono costretti ad affittare la casa in cui vivono e a metterne all’asta il mobilio, mentre la giovane trova rifugio dallo zio Achille, un medico condotto che spesso la porta con sé nel suo giro quotidiano di visite. Assistere a parti, visitare malati e suturare ferite si rivela un’esperienza davvero singolare per un’adolescente, che per lungo tempo accarezza l’idea di diventare medico - e questa sarebbe stata una conquista interessante, dal momento che all’epoca le donne laureate in medicina erano solo sette su tutto il suolo francese - ma la realtà le presenta ben presto il suo conto: lei, priva di mezzi com’è, può al massimo aspirare a divenire infermiera. Ancora giovanissima, sposa Henry Gauthier-Villars, un uomo più vecchio di quattordici anni, con il naso corto e le guance cascanti. Non si tratta certo di una bellezza - pesa oltre cento chili e tende alla calvizie - ma è di buona famiglia, ha una rendita solida ed è famoso. Sotto la sua guida, Colette diventa una delle autrici più raffinate della Francia del Novecento...

“Che bella vita che ho avuto. Peccato che non me ne sia accorta prima”. Questo è ciò che disse di sé, dopo aver visto un documentario che la riguardava, Colette, donna straordinaria capace - in un periodo storico che va dalla fine dell’Ottocento alla prima metà del XX secolo - di realizzare il sogno di esser padrona di sé, del suo corpo, della sua vita e delle sue passioni. Scrittrice e attrice teatrale francese, Colette è stata insignita delle più prestigiose onorificenze accademiche ed è stata, dopo Sarah Bernhardt, la seconda donna a ricevere funerali di stato nella storia della repubblica francese. Colette ha sempre cercato di essere considerata al pari di un uomo, lottando per la propria indipendenza e per il pieno controllo di ogni aspetto della sua esistenza, incurante dei commenti velenosi della società in cui è vissuta. Nicoletta Sipos - giornalista ed autrice di una dozzina tra saggi e romanzi - scrive la biografia romanzata di una delle artiste più versatili del secolo scorso e lo fa attraverso la voce narrante della figlia della protagonista. Colette de Jouvenel racconta di una donna capace di farsi mito nazionale della sua epoca: scrittrice prolifica, attrice di music hall - in cui spesso si esibiva nuda, fregandosene delle conseguenze -, caporedattrice e giornalista, sceneggiatrice ma anche estetista e commerciante di cosmetici, Colette fu spesso al centro di scandali per le sue relazioni sentimentali - decisamente disinibite - con personalità di rilievo (uomini e donne) della società francese. Emancipata, anticonformista - pur disprezzando le femministe della sua epoca - e capace di sfondare la scorza dura di alcuni tabù femminili, quella di Colette è una figura coraggiosa e sfrontata che, tuttavia, rivela nel rapporto con la figlia le proprie debolezze. E la Sipos è abilissima nel raccontare la rabbia dell’infanzia di una bambina la cui madre stenta ad accettare la sua presenza, perché troppo impegnata a vivere per occuparsi della figlia. “Avere per madre un mostro sacro della letteratura francese è un peso difficile da sopportare”, scrive la de Jouvenel parlando di questa figura ingombrante ma assente, con la quale i rapporti sono spesso complessi e superficiali, salvo poi acquistare spessore nel corso degli anni, fino a trasformarsi in vero e proprio culto - alla morte di Colette - e desiderio di possesso, combattuto anche nelle aule dei tribunali. Un racconto avvincente e amaro allo stesso tempo, una voce narrante potente e credibile per una biografia romanzata che rivela, pagina dopo pagine, l’accurato lavoro di ricerca della Sipos, giornalista e scrittrice di spessore.