
Mercoledì 13 marzo 1985 il dottor Fabrizio de Prophetis, quarantasettenne funzionario del Ministero del Tesoro presso la Direzione generale della Cassa depositi e prestiti, torna in 500 dall’ufficio a casa e, nel suo appartamento romano, trova ad attenderlo la moglie insieme a tre finanzieri: è accusato di corruzione, lo arrestano, non riesce nemmeno a salutare bene i figli. L’accusa è pesante: avrebbe percepito bustarelle con lo scopo di trattare più velocemente alcune pratiche relative a pagamenti per lavori di opere pubbliche. Chi lo ha denunciato è il ragioniere capo del comune di Nuoro, a sua volta indagato per peculato, falso ideologico, corruzione, concussione ed emissione di assegni a vuoto; sembra si sia pentito e abbia denunciato dettagliatamente il coinvolgimento del funzionario ministeriale. Avvisano la portineria dell’ufficio, esce in manette. Inizia la via crucis: prima 5 giorni nel carcere di Regina Coeli a Roma, poi 10 giorni nel supercarcere di Badu e Carru a Nuoro, infine 45 giorni agli arresti domiciliari (dal 6 aprile). Umiliato e frastornato, conosce l’ambiente dei detenuti, con alcuni a Roma nascono solidarietà e amicizia, in particolare con uno slavo tuttofare prodigo di consigli, con altri a Nuoro scopre le fazioni interne e la pena dell’isolamento. E poi incontra il mondo dell’amministrazione della giustizia, avvocati e giudici, di varia ambiguità e umanità, competenza e pasta: impronte, sbarre, colloqui, interrogatori, procedure da recluso. Fino alla libertà provvisoria (11 maggio), al decreto di riammissione al lavoro (13 agosto), ad altri intoppi collaterali e alla definitiva assoluzione (avvenuta solo molti anni dopo, nel 1991), avendo comunque dimostrato come la Guardia di finanza avesse esplicitamente preso un granchio nel controllare i suoi conti bancari, responsabilità connessa agli impliciti eccessi burocratici e impreparazione professionale...
L’apprezzato dirigente pubblico Fabrizio de Prophetis (Marino 1938), ispettore generale in pensione (2008), da tempo ha manifestato cura e passione per la scrittura e ora si cimenta efficacemente con un doloroso memoriale autobiografico sulla vicenda che lo coinvolse molti decenni fa (da cui il titolo), dedicato “a tutti coloro che, nonostante le apparenze, hanno sempre creduto nella mia innocenza, e anche a tutti coloro che, al contrario, vittime delle apparenze, leggendo questo saggio avranno modo di ricredersi”. Nessuna finzione, la capacità narrativa emerge dalle descrizioni dell’evoluzione del procedimento legale, raccontato retrospettivamente dal protagonista, in prima persona al presente: fatti, contesto, stati d’animo ed emozioni allora vissuti, nudi e crudi (parlano da sé) senza sentimentalismi, “per tracciare il confine di un’enorme cicatrice nel cuore, nel cervello, nell’anima”. I ventisette capitoli ripercorrono passo passo il primo mese, anche con foto, documenti e poesie, fino all’attracco al porto di Civitavecchia il 6 aprile 1985, sabato santo, con il rientro dai familiari nell’amata Roma. Il “dopo” ha bisogno di meno particolari, di un utile riepilogo, dei ringraziamenti (scritti nel 2008) e di alcune testimonianze di solidarietà ricevute da parte di amici, conoscenti e colleghi di lavoro.