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Contro la musica

Contro la musica

“Un fantasma si aggira tra noi”: questo l’incipit di questo scritto; incipit che richiama, forse volutamente, quello del Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels. Ma il fantasma che, secondo Manlio Sgalambro, si aggirerebbe tra noi, non è più lo spettro del comunismo, bensì quello della musica - la quale, nel corso di due secoli, avrebbe percorso interamente la sua parabola fino ad esaurirsi. Ai nostri giorni si comporrebbe musica solo in vista dell’ascolto, quando invece forse l’unica funzione della musica sarebbe quella di istituire un ordine fra i suoni. Il sottotitolo del saggio è Sull’ethos dell’ascolto: già Bach e Beethoven puntavano in fin dei conti sull’ascolto e sui cosiddetti ascoltatori: ma ai loro tempi l’ascoltatore lo si andava a cercare nel fior fiore della società, mentre il prototipo dell’ascoltatore odierno sarebbe rappresentato dagli straccioni e dalle canaglie. Può esistere musica senza ascolto? Ci fu un tempo in cui la musica parve essere divenuta il punto forte di un grande piano di rinuncia ascetica, quale l’Occidente, pur così intriso di Cristianesimo, non si era mai sognato: ma subito dopo essa finì con l’assumere la sembianza che ancora sembra contraddistinguerla: ovvero musica come promessa di spasso, o, se vogliamo, come réclame del mondo. Ma in un ascolto per così dire “giusto”, l’ethos imporrebbe di ascoltare nei suoni la dissoluzione del mondo. “Chi ascolta veramente, ascolta l’ascolto. Chi ascolta veramente, ascolta la fine del mondo”...

Contro la Musica di Manlio Sgalambro venne pubblicato per la prima volta nel lontano 1994: è ora possibile leggerlo nuovamente nella collana Particelle dell’editore Carbonio. Filosofo autodidatta, scrittore ancora esordiente a cinquant’anni suonati, Sgalambro era nato a Lentini, in Sicilia, nel 1924; la filosofia, come da sua stessa ammissione, l’aveva sempre coltivata autonomamente, tanto che all’Università di Catania aveva finito poi per frequentare i corsi di Giurisprudenza. Dopo alcune brevi collaborazioni con riviste di nicchia - fra gli anni ‘40 e gli anni ‘60 del secolo scorso - Sgalambro esordì nel 1982 pubblicando per Adelphi La morte del sole, a cui fecero seguito molti altri lavori, e la collaborazione (forse più redditizia) con Franco Battiato, per il quale scrisse i testi delle canzoni, negli anni fra il 1995 e il 2012. Questo - che alla fin fine non è altro che un pamphlet brevissimo - richiama forse nello stile e nei temi altre opere più note dello scrittore siciliano: il tono resta sempre quello per cui si è negli anni andati via via accostando gli scritti di Sgalambro ad autori come Cioran o Schopenhauer. Il libretto - che, almeno secondo l’opinione dell’autore di questa recensione, oscilla fra due estremi opposti, ovvero potrebbe essere l’opera di un pensatore visionario ma forse anche una ciarlataneria ad opera di un dilettante - ci consegna, nonostante tutto, una sorta di ritratto postumo di un intellettuale eccentrico del meridione d’Italia.