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Corteggiando Jo March

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Mentre Meg è alle prese con le privazioni che l’unione economicamente svantaggiosa con John le ha procurato, Amy attende con ansia la proposta di Fred Vaugh. Intanto, Jo si prende cura della sorella Beth, la cui salute è stata profondamente segnata dalla malattia della scarlattina l’anno precedente e, per aiutarla concretamente, chiede l’aiuto economico di zia March, la quale, in cambio, interessata ad addomesticare il carattere ribelle della ragazza - in alcun modo intenzionata a contrarre un matrimonio vantaggioso - organizza un ballo a Plumfield per favorire il suo incontro con qualche gentiluomo. Mentre per Beth è l’occasione per uscire dal suo guscio e fare la conoscenza di Frank Vaughn, appassionato di musica, che volentieri si offre di impartirle delle lezioni, per Jo sembra l’ennesimo ricatto cui sottostare per amore della sorella. Fortunatamente, nelle more di tale increscioso evento, sopraggiunge Teddy dal college, sollevandole l’umore, il quale si offre di essere il suo cavaliere: è l’occasione per recuperare il tempo perso da quando è via, per ascoltare le lezioni che segue o i discorsi che affronta con i compagni, per ritornare a quella normalità che le manca. Ma, per la prima volta, chiusi in biblioteca, Jo, con i capelli sciolti e nel vestito rosso che lui le ha regalato, si accorge che Laurie la guarda in modo diverso…

A chi non è capitato, leggendo Piccole donne crescono, di desiderare un finale diverso per la dolce Beth o un happy ending per Jo e Laurie? Trix Wilkins, dopo oltre 150 anni dalla pubblicazione del romanzo, decide di accontentare le lettrici “piccole pettegole” – che, invece, la Alcott deliberatamente ha voluto frustrare, come emerge nelle sue lettere, pubblicate nella raccolta Le nostre teste audaci – tratteggiando lo scenario che tutti hanno sperato potesse concretizzarsi. Tuttavia, sebbene possa sembrare un paradosso, l’unico modo per poter valutare correttamente questo libro è proprio liberarsi dal ricordo di Piccole donne e della scrittura della Alcott. Difatti, nonostante il punto di partenza dell’autrice sia proprio il segno che tale romanzo e tale scrittrice hanno lasciato in lei, si corre il rischio di riporre delle aspettative che necessariamente sarebbero deluse. Complice è, ça va sans dire, lo stile che nella Alcott è semplice, ma comunque fortemente descrittivo, ma in Corteggiando Jo March si semplifica maggiormente, lasciando la caratterizzazione dei personaggi più ai dialoghi che alle introspezioni psicologiche rinvenibili nel classico americano. Ma, soprattutto, la vera differenza risiede nei personaggi: nonostante il tentativo apprezzabile di rimanere in linea con quelli tratteggiati dalla Alcott, cercando di mantenere il carattere determinato e ostinato di Jo o quello vivace e vanesio di Laurie, il romanzo sconta l’inevitabile difetto che viene in essere quando ci si ‘appropria’ di personaggi che non nascono dalla propria penna. Non si conoscono a fondo e, quindi, a tratti risultano così perfettamente costruiti da risultare inconsistenti, estranei e, seppur con l’auspicato amore tra Jo e Laurie si concretizzi, non si realizza lo stesso coinvolgimento che, invece, la Alcott è stata in grado di determinare con le storie delle quattro sorelle, pur lasciando l’amaro in bocca al lettore. Fondamentalmente perché ciò che veramente tradisce chi ha amato Piccole donne crescono non è il mancato matrimonio tra i due beniamini, ma il fatto che alla fine la Alcott, cedendo alla moda che la storia dovesse necessariamente concludersi con un matrimonio, abbia deciso di far sposare la sua protagonista, celandone la ratio in una crescita della protagonista dall’età adolescenziale a quella adulta, ma, in realtà, ha semplicemente conformato il personaggio ai valori di una società che lei stessa non assecondava . In questo romanzo, invece, non c’è alcun revirement: la trama è lineare, la scrittura è leggera e scorre piacevolmente e, una volta abbandonato il paragone con i Jo, Laurie, Meg, Amy originali ed esperito il tentativo di guardarli come se fossero dei personaggi totalmente creati ex novo – con l’incredibile coincidenza che abbiano gli stessi nomi -, si riesce a provare simpatia per loro, si ammira la meravigliosa valorizzazione dei personaggi secondari e si apprezza una storia d’amore per così dire moderna, dove le riflessioni sull’istituzione del matrimonio o sulla sua convenienza lasciano il posto alla sensazione di inadeguatezza o all’insicurezza esistenziale, vere mine delle relazioni attuali.