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Così crudele è la fine

Così crudele è la fine

Roma. Nei pressi dell’area archeologica del Teatro di Marcello viene trovato il cadavere di Paolo Tancredi, un famoso pianista jazz: è incatenato, in ginocchio e davanti a sé ha un mucchio di mattoni sparpagliati; ha il volto tumefatto, il naso rotto, tagli sul volto e le palpebre martoriate. Sembra che abbia combattuto contro quel muro di mattoni che aveva davanti. Inoltre, gli sono state tagliate le dita della mano destra. È questa la scena del delitto che si trova davanti il commissario Enrico Mancini, uno dei migliori criminal profiler in circolazione, addestratosi a Quantico con l’FBI. Un uomo nuovo rispetto a qualche tempo fa. La morte della moglie Marisa lo aveva gettato in un tunnel dal quale non riusciva più a uscire. Poi, la risalita, anche grazie alle sedute con la psichiatra della polizia Claudia Antonelli, con le quali ha affrontato i suoi demoni interiori, tant’è che è riuscito a costruire una nuova relazione amorosa con il pubblico ministero Giulia Foderà. Così, Enrico Mancini si butta a capofitto nelle indagini, partendo dai pochi indizi che è riuscito a cogliere osservando la scena del crimine e, quando viene trovato il cadavere di Monica Longo, una settantenne rinchiusa a Campo Scellerato, il luogo dove venivano sepolte vive le Vestali, il commissario non ha più dubbi: a Roma si aggira un serial killer…

Dopo È così che si uccide e La forma del buio, torna il commissario Enrico Mancini, personaggio nato dalla penna dello scrittore romano Mirko Zilahy. Così crudele è la fine chiude una trilogia che era iniziata con Ombra ed era continuata con lo Scultore, due serial killer che avevano scatenato il panico nelle strade di Roma, una città che, come ormai d’abitudine, Zilahy ci descrive con grande maestria, restituendone l’atmosfera magica, le luci e le ombre, questa volta attraverso i siti archeologi in cui vengono trovate le vittime di un nuovo, inquietante assassino seriale con cui deve fare i conti il commissario Mancini, un uomo che ha ripreso a vivere; che è riuscito a sconfiggere i suoi demoni interiori e a ritrovare la propria identità: è questa la parola chiave del romanzo, che l’autore declina attraverso un killer anomalo che si muove in una città descritta claustrofobicamente. Il risultato è un romanzo dal ritmo forsennato, oscuro, duro e doloroso, in cui emerge, ovviamente, la figura di Mancini e di tutti i co-protagonisti, i quali non vengono mai trascurati da Zilahy, bravo a farceli conoscere a fondo, a volte attraverso pochissime pennellate. Perché risiede qui la maestria dell’autore romano, nel saper incastrare minuziose descrizioni all’interno di una trama che non concede mai pause. E se non vedremo più in azione il commissario Mancini, sicuramente avremo ancora occasione di imbatterci nelle affascinanti e oscure narrazioni di Mirko Zilahy.