
L’attesa in un aeroporto è per la maggior parte dei viaggiatori una maledizione a cui non si può porre rimedio. Nel caso di Jérome Angust il ritardo del suo volo significa attirare l’attenzione non gradita di un uomo che sembra godere del fastidio altrui. Textor Texel, quest’omuncolo olandese dal nome onomatopeico, inizia a seccarlo semplicemente con la sua ingombrante presenza. Lo incalza con domande impertinenti, sciorina il suo assolo pedante e infinito con l’unico scopo di portarlo allo sfinimento. Raggiunto quel punto, inforca la sua arma migliore e colpisce, lacerando l’io del malcapitato di turno per aggiungerlo, quindi, al numero delle sue numerose vittime. Come quelle che confessa di aver seminato sul suo cammino passato; le stesse che gli hanno provocato strani sensi di colpa e comportamenti disumani. Il passante ammette senza troppi giri di parole di essere un efferato criminale, un uomo spregevole, deprecabile, maligno. Se ciò non bastasse, Textor nel delirio del suo sproloquio giansenista porta infine Jérome alla confessione inaspettata, all’ammissione di una colpa che ha tentato di coprire per anni con un oblio alquanto disperato. L’uomo non si sarebbe mai aspettato di odiare quel volo per Barcellona, che per una strana concatenazioni di eventi, sembra essere, suo malgrado, l’occasione per una seduta di autoterapia, in cui però la sua psiche non esce curata ma danneggiata definitivamente…
Nel formato che è tanto le caro, quello del romanzo breve, Amélie Nothomb crea uno dei suoi migliori atti di denuncia dell’animo umano. Senza la giusta memoria, l’uomo si autoassolve perfino dal crimine peggiore. Persino guardarsi allo specchio può risultare inutile, se viene fatto senza la giusta consapevolezza di sé. Jérome è il simbolo dell’individuo che preferisce non vedere, piuttosto che accettare la giusta sorte. Persino il suo cognome, Angust, ci rammenta della miseria interiore in cui dovrà ammettere di trovarsi, proprio grazie a quello strano alter ego che è Textor Texel. Quest’ultimo non fa che condurlo semplicemente verso il suo destino già prestabilito. Tutto questo per ristabilire quell’ordine universale, quella morale suprema che sono alla base della cosmetica filosofica, come ama ricordarci uno dei due protagonisti. Come in molti altri suoi romanzi, la scrittrice belga dimostra qui il suo gusto per il sarcasmo, non privo di una sottile vena di sadismo con cui ama solleticare il lettore. Non può non venire in mente, leggendolo, Fight Club di Chuck Palahniuk, per quella lotta senza esclusioni di colpi con la propria coscienza, che porterà anche in questo caso ad una resa dei conti drammatica.