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Crackpot

Crackpot
All’inizio del secolo scorso una cittadina sperduta nel vasto impero russo è aggredita da un’ondata di pestilenza. Il morbo sembra inspiegabilmente avere maggiore riguardo degli ebrei rispetto al resto della popolazione. Per scongiurare le inevitabili ritorsioni, alimentate da folli pregiudizi, e salvaguardare al contempo la comunità ebraica dal contagio, viene celebrato un matrimonio propiziatorio, nel locale camposanto, tra i due soggetti più deboli ed indifesi. Lei, Rachele, ha una costituzione fisica fragile e deformata dalla gobba. Lui, Daniele, è un uomo bello e saggio, ma con l’andatura affaticata di chi è privo della vista. Dalla loro unione nasce Hoda, una bambina rubiconda e chiacchierona. Lo stato di indigenza economica in cui versano, il mancato sostegno dei parenti li spingono ad attraversare l’Oceano in cerca di una sorte più benigna. Qui trovano sistemazione in un’abitazione fatiscente e situata in una posizione defilata rispetto al centro cittadino, che i bambini del posto hanno ribattezzato “la casa dei fantasmi”. A Rachele, con un marito cieco ed una figlia grassa da sfamare, non resta che cercare proventi prestando servizio presso le famiglie ebree più abbienti. Durante il giorno Hoda accompagna la madre al lavoro; la sera ascolta il padre, rannicchiata sulle sue ginocchia, mentre racconta lunghi aneddoti legati al suo passato. Rimasta orfana della madre, prematuramente scomparsa, ed insofferente all’inconsistenza dei metodi scolastici, ella convoca a casa i propri coetanei. Approfittando della cecità e dell’imperizia paterna, adotta il pretesto di mettere al loro servizio i frutti di un’intelligenza precoce e smaliziata, per elargire in realtà gaudio carnale in cambio di denaro, ma soprattutto per strappare qualche momento di attenzione e di affetto. Guidata dalla forza rigeneratrice di un sentimento che non conoscerà mai del tutto, pur avendolo sempre inseguito, desiderata non per la sua bellezza ma per la sua strana, incomprensibile aderenza alla vita…
Nelle pagine iniziali di questo corposo romanzo di Adele Wiseman, finalmente tradotto anche nel nostro Paese, si avverte quasi l’irritazione di trovarsi dinanzi ad un testo che invogli poco o nulla alla lettura. E pur tuttavia va da sé che la lunga ricognizione svolta nella genealogia familiare costituisca di fatto un’opportuna introduzione o premessa alla storia, in cui non mancano tra l’altro momenti di vero pathos. Soprattutto quando l’autrice rievoca la dignitosa rassegnazione con cui Rachele e Daniele accettano le peggiori asprezze della vita; il rocambolesco e fortuito episodio dello sbarco nel nuovo continente, che doveva cambiare loro la vita; il tenero disincanto con cui Hoda apprende, dai racconti del padre, ad osservare la trama del dolore senza perdersi negli abissi del rancore. Adele Wiseman - una delle più celebri scrittrici anglocanadesi del Novecento - possedeva, infatti, il talento della parola, e sapeva come si costruisce una storia. Ed è proprio la sua capacità di saper raccontare a consentirci di arrivare, senza troppa fatica, nel cuore del romanzo. Un romanzo da leggere non tanto per conoscere la vicenda di Hoda, ma perché la sua scrittura ha buon gioco nel portarci a comprendere quanto la vita non sia mai banale; ma costituisca, anche nelle più avverse condizioni, un’opportunità da cogliere ed un patrimonio da preservare. E’ straordinario come, nelle pagine terse di questa lunga fatica letteraria, la Wiseman sia riuscita ad imprigionare la storia di una donna capace di attraversare la vasta zona d’ombra dell’emarginazione, e di uscirne con la forza incontenibile dell’energia d’amore, rendendo accettabile ciò spesso non risulta credibile. Il suo fisico debordante e l’appartenenza ad una famiglia indigente e menomata fanno di Hoda un personaggio relegato ai margini del mondo e destinato alla sconfitta, ma carico di una magia impalpabile, di una capacità del tutto infantile di scartare e di infilarsi in una sorta di universo parallelo, diverso dal nostro. E da lì guardarci con la nostalgia di una speranza silenziosa, e raccontare di sé con amaro, tenero disincanto. Insomma la fiaba è lì, latente nel realismo crudo della Wiseman, ma è la fiaba cruda di una donna che vede transitare la vita davanti a sé, e decide di afferrarla come crede e di trattenerla come può. Un romanzo sull’innocenza non riconosciuta, tutto giocato sulla domanda cruciale: si può pervenire ad una condizione di felicità che non passi attraversare il dolore ?