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Crepacuore

crepacuore

Dai sedici ai trentacinque anni, Selvaggia non ha mai vissuto una pausa sentimentale. Quando il ragazzo che aveva al liceo la lasciò, dopo due anni di inutili struggimenti, lei pensò che non l’avrebbe voluta più nessuno. Da allora, ha sempre cercato di avere il controllo della situazione. Ha collezionato poche storie, tutte rigorosamente lunghe, in cui ha avuto un ruolo dominante e la sua fame d’attenzione e di accudimento è stata soddisfatta da fidanzati amorevoli e pazienti. Nel 2007 ha un figlio di due anni e un matrimonio che, seppure di anni ne abbia solo tre, mostra già i segni di un precoce invecchiamento. È lei a decidere per la separazione. D’altra parte, in età adulta ha chiuso lei anche le relazioni precedenti e, di solito, lo fa quando è certa di aver già trovato un nuovo approdo. Questa volta non sa, tuttavia, che sta per cominciare un lungo e doloroso periodo di dipendenza affettiva. Tutto comincia da una mail, in cui un uomo le scrive di averla vista in un programma TV e di averla trovata simpatica. L’uomo ci tiene a precisare di non essere il solito sfigato che scrive a un personaggio famoso e la invita a cercare il suo nome su Google per capire con chi abbia a che fare. Selvaggia scopre così che si tratta di un milanese, belloccio. È un pezzo grosso di un’azienda nel ramo della comunicazione e ha qualche anno più di lei. Decide di rispondergli, con una mail piuttosto leggera e ironica quanto basta, e dopo un altro paio di scambi, i due sono pronti per passarsi i numeri di telefono. A questo punto, anche se a distanza, comincia un fittissimo scambio: mail, telefonate notte e giorno, confidenze sentimentali - non richieste - da parte di lui circa la sua precedente vita sentimentale, invio di canzoni romantiche, foto del suo ufficio e di casa sua. Dai suoi racconti traspare una gran voglia di trovare una compagna…

Avere il coraggio di raccontare un vissuto complesso e doloroso, durato quattro anni, durante il quale “il nome del ristorante in cui andare la prima sera fu l’ultima cosa che governai io”. Descrivere con lucidità, e senza cadere nel rischio di impantanarsi nel rancore, una malattia - di cui si parla spesso solo in termini tecnici e attraverso la voce degli esperti - che nasce come un’intensa passione amorosa e finisce per trasformarsi in breve tempo in un gorgo di autodistruzione. Una dipendenza, grave tanto quanto una tossicodipendenza e altrettanto foriera di disastri, dalla quale tuttavia si può uscire, ci si può disintossicare, anche se la strada da percorrere per venirne fuori è tutta in salita e piena di buche in cui è facile scivolare e ritrovarsi al punto di partenza. Selvaggia Lucarelli - penna pungente il cui valore è riconosciuto anche da chi non la ama come personaggio e come opinionista televisiva - si mette a nudo nel suo nuovo romanzo autobiografico e racconta la lunga esperienza di dipendenza affettiva che l’ha vista protagonista quando, appena separata dall’ex marito e con il figlio di poco più di due anni, ha incontrato un narcisista patologico con cui lei, affamata d’amore, ha dato origine ad un rapporto tumultuoso che si è ben presto trasformato in un incubo. Una storia personale che è una vera e propria tempesta, resa ancora più dolorosa dal fatto che la Lucarelli confessi senza vergogna di aver dato priorità alle proprie esigenze, nel lungo periodo di cui racconta nel libro, senza valutare le conseguenze che le sue scelte avrebbero avuto sul figlio. “Oggi, guardandomi indietro, faccio ancora fatica ad ammetterlo, ma la felicità di mio figlio, la sua sicurezza perfino, erano la cosa più importante solo in quei rari momenti in cui sentivo di aver messo la mia relazione al sicuro. L’unico pericolo che avvertivo come costante e incombente era quello che lui mi lasciasse per la mia evidente inadeguatezza”. Ci vuole coraggio a fare certe ammissioni, ma alla Lucarelli il coraggio non è mai mancato e la forza del suo racconto sta nella lucidità con cui la giornalista racconta il disagio di una relazione malata e annientante, dalla quale riesce a sganciarsi solo quando si sente sfinita, impara a guardarsi dall’esterno e a provare pena per ciò che è diventata. Un racconto crudo e diretto, senza fronzoli né abbellimenti, che è allo stesso tempo un violento pugno nello stomaco e una luce potente di speranza per tutti coloro che hanno vissuto o stanno vivendo un’esperienza analoga.