Salta al contenuto principale

Crollo di Atlante

crollodiatlante

Divano di pietra lavica fuori dal teatro. In una piazzetta di Catania. Caterina, precaria del teatro, siede spesso lì, a rollarsi una sigaretta dopo l’altra e pensare. Incontra Lorenzo, capocomico impegnato in una delle serate del festival. Si guardano, si annusano, si sfiorano. I loro corpi si conoscono. Roma, casa di campagna di Lorenzo. Un uomo e una donna, pioggia, autunno. I corpi nel letto, il sesso spinto troppo oltre, il crollo di atlante. Ospedale: lei costretta a letto, immobile, non può fumare e la sua testa è avvolta da una corona di ferro. Ne avrà a lungo. Lui viene a farle visita. Quanto può restare, quando se ne vuole andare? Lei ha una figlia, Sofia, e un marito che ha fatto di tutto per umiliarla e colpirla nell’affetto più grande. Lui ha un figlio, Sacha, e un progetto di famiglia che si è andato sfaldando e dissolvendo in brevissimo tempo, con la madre di Sacha già impegnata a recitare la parte della bella famiglia con un nuovo compagno e una nuova figlia. Roma, la pioggia e i corridoi d’ospedale. Una lunga spiaggia dove conoscersi. Un aeroporto dove salutarsi mancando parole. Sfaldarsi, e poi esplodere e ritrarsi. Come ti senti, Caterina? Come una stella divenuta buco nero. E Lorenzo ormai anziano dice: “non mi resta che vivere”…

Immagini che sfumano come l’orlo di un bicchiere sul tavolo, da una citazione visiva da Tarkovskij, brandelli d’immagini che tornano nella mente dei protagonisti, Lorenzo e Caterina, come sommovimenti tellurici e dispersioni siderali. Cronenberg quasi, nell’incontrarsi di corpi che sfiorano la reciproca conoscenza profonda nell’abitare il margine dal quale sorge l’ombra, il non detto, il varco che si apre con dolore. Un uomo che conosce dolore in diverse fasi della vita: e persone che sfuggono alla sua vista, in due momenti diversi sempre in aeroporto, Caterina e il figlio Sacha. Caterina è “creatura segnata”, straordinariamente forte ma segnata dal dolore: Lorenzo è quasi magico rimescolare per lei, un tirar fuori, un angolo di speranza: ma ci vuole tempo. Loro, vicinissimi per qualche istante, poi lontani come due pianeti diversi. I progetti di vita sfumano, l’identità barcolla ed esplode ad ogni incontro, ogni battito d’ali di una farfalla o un cadere di un vecchio uomo. Questo succede, mentre non resta che vivere. E Riccardo De Torrebruna – egli stesso attore e regista, prima che scrittore – scrive bene di intimi squarci, “fulminei passaggi che si aprono negli strati del tempo”, come un dissolversi: i corpi imperfetti umani, però, si spezzano (dissolvenza).