
Fine anni Quaranta, Cina. Il giovane Xu Sanguan lavora in setificio in città: ogni giorno spinge una carriola carica di candidi bachi da seta lungo i corridoi dello stabilimento, per consegnarli alle operaie di un enorme reparto. È però originario della campagna e durante una visita al suo villaggio natale viene a sapere dal nonno che la gente del luogo considera una misura della buona salute di un giovane la frequenza con cui si reca in città a vendere il sangue: una vicina di casa ha addirittura annullato le nozze della figlia Gui Hua perché il suo fidanzato non mangiava abbastanza e non donava il sangue. Xu Sanguan scopre anche che ogni donazione di sangue viene remunerata con 35 yuan, quanto si guadagna lavorando la terra per sei mesi. Così, quando incontra sulla via di ritorno verso la città due contadini, il diciannovenne Gen Long e il trentenne A Fang, che si stanno recando a donare il sangue, decide di andare con loro. Mentre camminano si fa spiegare meglio come funziona la cosa, i due infatti sembrano degli habitué della trasfusione: il giorno del prelievo sono soliti ingozzarsi di acqua per aumentare il sangue in circolo, portano sempre dei cocomeri in dono al “capoccia del sangue” (l’impiegato che gestisce le donazioni all’ospedale) e dopo la donazione – circa due tazze di sangue – si recano in un modesto ristorante vicino e ordinano un bel piatto di fegato di maiale saltato in padella e cento grammi di vino di miglio. Quando i tre giungono al reparto dell’ospedale dove si vende il sangue hanno le vesciche gonfie come otri, sono rossi in viso per lo sforzo di trattenere la pipì e camminano molto lentamente. Il “capoccia del sangue” li accoglie cordialmente, intasca i cocomeri e avvia i giovani al prelievo. Successivamente, dopo aver orinato con dolore e sollievo al tempo stesso, i tre si recano al solito ristorante e ordinano il solito menù. Dopo aver mangiato e recuperato le forze, soddisfatti, iniziano a ragionare su come spendere i soldi guadagnati: Xu Sanguan decide di usarli per sposarsi, e quindi inizia a valutare tra sé e sé quale può essere la candidata più adatta al matrimonio, tra le ragazze che conosce. Forse l’operaia del setificio Lin Fenfang, la Fragrante, dalle trecce lunghe fino ai fianchi e dai denti regolari? Oppure Xu Yulan, la Magnolia, che lavora in un ristorantino ed è soprannominata la Venere delle frittelle? Il ragazzo propende per questa seconda ipotesi, ma non sa che la ragazza in quello stesso momento è corteggiata con insistenza da un altro, un tale He Xiaoyong, il Codardo…
Chi ha amato capolavori del cinema cinese come La storia di Qiu Ju o Non uno di meno di Zhang Yimou amerà questo romanzo di Yu Hua, uscito nel 1995, sebbene la penna appuntita e lo stile caricaturale dello scrittore di Hangzhou donino al “neorealismo” del celebre regista cinese un tocco più satirico e grottesco, una forza iconoclasta che va oltre la retorica della cultura rurale e della povertà, pure presente. Infatti Cronache di un venditore di sangue e più in generale l’opera di Hua sono a tutti gli effetti il corrispettivo letterario del “realismo cinico” di Fan Lijun (e non a caso molte opere di questo pittore sono state scelte in Europa per illustrare le copertine dei suoi romanzi): una narrazione “dal basso” della storia cinese contemporanea che ricorda la nostra migliore commedia all’italiana e l’amaro sberleffo che ne è la cifra tipica. Il povero operaio cinese che investe tutti i suoi soldi in un matrimonio infelice, che cresce un figlio non suo e cerca di barcamenarsi nella Cina che sta cambiando pelle prima e dopo la Rivoluzione Culturale di Mao Zedong vendendo più di dieci volte il suo sangue è ricca di simbolismi universali ma anche di riferimenti incomprensibili per il lettore occidentale, eppure è divertente, puntuta, appassionante.