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Cucina siciliana di popolo e signori

Cucina siciliana di popolo e signori

Antipasti, primi asciutti e primi in brodo, secondi di pesce, di carne, uova e contorni. Pizze e cibo da strada, salse e preparazioni speciali e gli immancabili dolci. Sono duecentosedici i piatti compresi nella raccolta di ricette, che oltre alle preparazioni tipiche dell’isola, contempla anche piatti creativi ideati dall’autore, ma il cui ricettario attinge sempre alla sobria borsa della spesa siciliana. Chi l’ha detto, infatti, che la cucina di qualità richieda molti denari? La “Pasta ‘ncaciata ‘nfurnata” con pochi euro assicura un figurone con i convitati. Non è da meno il “Caciu all’argintera”, ricetta povera e poco celebrata, ma il cui profumo evoca la cucina dei monsù. Del resto, è anche questa una peculiarità della cucina siciliana: il continuo rimescolarsi delle ricette dei nobili con le preparazioni popolari. In passato, la servitù che preparava i piatti per il signorotto utilizzando ingredienti costosi, rimaneggiava il piatto per la propria famiglia, facendo ricorso ai prodotti del desco dei poveri. È così che sono nate, per esempio, le “Melanzane a quaglia”, versione frugale delle costose quaglie o le “Sarde a beccafico”, che fortunatamente per noi posteri, prevedono il pesce azzurro al posto degli uccelletti che si nutrono di fichi. Sbaglierebbe però, chi credesse che il virtuoso processo di contaminazione interclassista sia stato unidirezionale. La “caponata di melanzane” ne è la conferma. Le apparenze, talvolta, ingannano l’occhio, ma il palato non ha da temere. È il caso del “Falsomagro”, nome ufficiale del più tipico e verace “Bruciuluni”. Qual è il segreto del suo ripieno?

Contro il logorio della vita moderna, la tradizione delle cucine regionali ci regala spazi di celebrazione della lentezza e del saper vivere. La cucina siciliana, in particolare, forte di un esercito della resistenza armato di pignate e cuppini, “riesce ancora a respingere gli attacchi di un marketing aggressivo che spinge all’omologazione del gusto”. È una bella scoperta il libro di Martino Ragusa, medico psichiatra, gastronomo, scrittore e autore televisivo e teatrale, che nel suo blog personale dedicato alla cucina e alle divagazioni sul tema, offre spunti originali per riflessioni sulle patologie della vita moderna. Come la “tele-orgia bulimica” che offre la TV, trasformata, come l’ha definita lo stesso Ragusa, nella “super scuola alberghiera d’Italia”. Nel pieno rispetto del luogo di provenienza, l’autore ha tenuto in considerazione l’origine geografica delle ricette, mantenendo quindi, la denominazione dialettale dei piatti. Il glorioso e imponente passato continua a essere una roccaforte dell’identità della gastronomia isolana che, a differenza di altre prestigiose tradizioni come quella francese, ha saputo resistere ai mutati stili di vita. Street food e ricette della più antica tradizione ellenica - ancora apprezzabile nella cucina dell’entroterra siculo – ben sintetizzano le contraddizioni di una terra, in cui l’antico vive accanto ai gattopardeschi cambiamenti, che a volte si risolvono in un mero cambio di denominazione: il cibo da strada lo conosciamo da una vita.