
Stephen King, oltre ad essere uno scrittore tra i più talentuosi, prolifici e ammirati del panorama letterario mondiale, è un’icona. Tra i primi autori a diventare, come ci piace definire oggi, ‘virale’. A determinare il suo successo è stato innanzitutto l’avvento dei paperback, le edizioni economiche e tascabili che hanno reso accessibile alle masse l’acquisto dei suoi romanzi. In secondo luogo, King sa benissimo a chi comunicare. Le sue storie del terrore ammaliano il tipico cittadino americano. Usanze, luoghi comuni, abitudini che ogni cittadino statunitense condivide, se toccate da King, diventano storie agghiaccianti. Se è alla comunità che l’autore vuole parlare, è necessario catturare la loro attenzione. Per fare questo è fondamentale rispondere alla domanda “Che cosa accomuna tutti noi?”. Niente di più semplice: il cibo. Gli Stati Uniti d’America hanno dato origine a piatti dolci e salati iconici in tutto il mondo. Pancakes, waffle, hamburger, hot-dog, hash brown, pepperoni: non esiste americano, dal più umile al più abbiente, che non li consumi. Il Re dell’horror non fa eccezione. Le grandi catene alimentari come Denny’s, McDonald’s o House of Pancakes vengono citate all’interno dei suoi libri, senza badare alla pubblicità che questo potrebbe portare loro. Non solo la ristorazione ricopre un ruolo fondamentale: anche la cucina casalinga tradizionale trova largo spazio nelle sue opere. La casa è il luogo più sicuro in cui rifugiarsi quando si ha paura ed è la cucina ad essere il suo cuore pulsante, quello più caldo, dove la famiglia si riunisce per condividere gioie e dolori. È proprio per questo che molte delle sue scene più macabre trovano luogo proprio nella cucina. C’è un americano che la domenica non ami fare il barbecue, che si astenga dalla tipica breakfast con bacon, uova e pancakes, che non conosca esattamente la ricetta del tacchino ripieno per il Thanksgiving? No. Per lo stesso motivo, non esiste americano che non ami i libri di King e che non sia paralizzato dal terrore mentre legge...
Luca Fassina è giornalista, autore, traduttore e ricercatore milanese. Il suo saggio è tanto breve da essere divorato in un sol boccone. Tra le pagine viene analizzato il fenomeno Stephen King da un punto di vista socio-gastronomico, evidenziando la correlazione che unisce, nei suoi romanzi, orrore, cucina e società americana. Luca Fassina si avvicina a King grazie al suo lavoro, scatenando una profonda curiosità in merito alla vita dell’autore. È così che scopre i primi anni della sua vita, segnati dalla povertà e da lavori umili e precari. “Gli autori scrivono di ciò che conoscono”: niente di più vero. Gran parte dei protagonisti dei primi romanzi di Stephen King vivono una vita segnata da povertà e disagio. Sono questi gli anni in cui l’autore cercò rifugio nell’alcolismo, ammettendo in seguito di aver scritto Cujo senza ricordarsi nemmeno di averlo fatto. Nel saggio, le esperienze personali dell’autore vengono scovate direttamente tra le pagine dei suoi libri più celebri ed analizzate nei loro tratti comuni. È così che emergono le catene alimentari, le tavole calde, i tipici piatti pop della cultura americana ed il vizio di alzare il gomito per infondersi coraggio. Il Gesù bambino di Desperation moltiplica craker e sardine, la banda di It beve whiskey prima di affrontare il grande scontro finale e ne La morte di Jack Hamilton, Rabbits, con le mani sporche di sangue, cucina la colazione per i suoi complici. Ecco spiegata la magia di King: raccogliere gli elementi del quotidiano e macchiarli di sangue. Un saggio breve e accattivante in cui gli aneddoti sul Re dell’orrore vengono intervallati dalle tipiche ricette della cucina americana, raccolte da Luca Fassina telefonando direttamente a numeri sconosciuti degli Stati Uniti e chiedendo a chi era dall’altra parte del filo (e del mondo) di condividere con lui gli ingredienti segreti. La ricetta che ne consegue, ben diversa da un disastro, è una vera chicca dal sapore deciso.