
1953, Leggiuno, sulle rive del Lago Maggiore. Gigi Riva a soli 9 anni perde il padre in un incidente sul lavoro e la mamma, che lavora tutto il giorno per mantenere la famiglia, si ritrova costretta a mandare il piccolo in collegio. Collegio che Gigi odierà profondamente, da cui tenterà più volte di scappare, perché non riesce a sopportare l’umiliazione di dover dire sempre grazie per i vestiti o il cibo, in quanto proveniente da una famiglia povera. In confronto, sgobbare in fabbrica 8 ore al giorno già dall’età di 12 anni gli sembra un sogno, per il solo fatto di poter stare vicino alla sua famiglia e di poter giocare a calcio non appena finito il turno. Purtroppo, però la vita non risparmia a Riva addirittura altri due lutti: nel 1959 muore sua sorella Candida e nel 1962 sua mamma. Nel 1963 arriva un’altra batosta: il Legnano, la squadra di serie C presso cui gioca Gigi, lo vende al Cagliari e Riva è furioso. In quegli anni la Sardegna non è certo la meta ambita delle vacanze che è oggi, è un’isola considerata quasi remota, lontana dal continente, in cui il banditismo continua a imperversare. Appena atterrato, Gigi pensa di essere arrivato in Africa e non vede l’ora di ripartire. Unica consolazione il salto in serie B. Eppure, quella terra non la lascerà mai più, perché diventerà casa sua …
Per raccontare l’incredibile storia del Cagliari dello scudetto (1969/1970) non si può che partire da Rombo di Tuono AKA Gigi Riva, giunto in Sardegna con l’idea di ripartirsene il prima possibile e che decise invece di restare a Cagliari per tutta la sua carriera, rifiutando più volte le offerte stratosferiche dei club del nord più blasonati, come Juventus e Inter. Gigi in realtà non se ne andrà più da Cagliari neanche una volta terminata la sua vita da calciatore, proprio perché la Sardegna è ormai casa sua e il popolo sardo, schivo, riservato e all’inizio diffidente (un po’proprio come lui), diventa la sua gente. La storia di Riva è in realtà molto simile a quella dei suoi compagni di squadra: sono tutti figli del dopoguerra e della fame, giovani che fin da bambini hanno cominciato a lavorare per dare una mano in famiglia e abituati a seguire le regole ferree dei genitori, come Piero Cera, che si faceva interminabili viaggi in treno per tutta l’Italia pur di seguire la sua passione e allo stesso tempo ottemperare al dover di non mancare nemmeno un singolo giorno da scuola. Tempi ben diversi da quelli attuali, in cui i calciatori vedono realizzato ogni loro capriccio, mentre Gigi rifiutò tutte le offerte della Juve pur di vincere lo scudetto per la sua gente di “banditi e pastori”. Mentre ancora si discute di Superlega e gli stipendi dei calciatori diventano sempre più insostenibili, questo libro fa riflettere sul bello del calcio e ci fa venire una nostalgia struggente di quei tempi e delle favole, in cui anche una piccola squadra del centrosud, che solitamente lottava per la salvezza, riesce nell’impresa di vincere lo scudetto. Un trionfo arrivato grazie anche a Manlio Scopigno, l’allenatore “filosofo”, che rivoluzionò il mondo del calcio e degli allenamenti senza imporre regole rigide come si faceva all’epoca, ma lasciando ai suoi giocatori una certa libertà, creando un gruppo talmente unito e affiatato che ha continuato ad avere rapporti di amicizia per tutta la vita. Tutti i giocatori sono infatti arrivati a Cagliari con la stessa reticenza e lo stesso rifiuto di Riva, eppure molti di loro ne hanno fatto la loro casa, affezionandosi alla gente e ai pescatori di questa piccola città. Ma erano uomini d’altri tempi, che si struggevano in corteggiamenti infiniti pur di conquistare la donna di cui erano innamorati, come Martiradonna e Reginaldo, che dovettero anche chiedere al padre della sposa il permesso di poterla frequentare. Ed è così che il celebre giornalista Luca Telese da un semplice racconto delle vittorie di una squadra di calcio spazia e ci fa rivivere lo spirito di quei tempi, il rapporto genitori-figli, le relazioni amorose, l’Italia del dopoguerra e del boom economico, nonché le vicissitudini e il carattere del popolo sardo.