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Da oggi voglio essere felice

Da oggi voglio essere felice

Il bimbo non fa che fissare la sua mamma. Un materasso appoggiato per terra e una vecchia e sporca coperta sono il giaciglio di quella madre che lo guarda con i suoi occhi cerchiati e colmi di un dolore vestito con i panni della crudeltà. Intorno a loro regnano sporcizia, disordine e un tanfo nauseabondo, perché quelle finestre sprangate nessuno le apre più da anni. Il piccolo non ama arrivare in ritardo a scuola, perché gli sembra di essere additato per questo e ha come l’impressione che poi parlino male di lui. Così Nino tenta di scuotere sua madre emettendo un suono impercettibile, che assomiglia alla parola “mamma”, ma viene subito malamente aggredito dalla donna. “E non dire quella parola! Sono Gianna, solo Gianna, te lo vuoi ficcare in testa?”. Sembra quasi un mantra per sua madre quella frase, visto che il piccolo non conta più le volte in cui se l’è sentita ripetere. Del resto Gianna quel figlio proprio non lo voleva: le è capitato. Ha cinque anni Nino e vive con lei in una casa occupata: prima di approdare in questo posto sporco e malfamato, Gianna e suo figlio sono stati ospiti di alcune amiche e prima ancora in una casa per ragazze madri a Milano, dove la donna ha trovato ospitalità, incinta e mal ridotta, e dove ha messo al mondo Nino. Si è lasciata curare e accudire Gianna in quella casa famiglia, ma non ha mai parlato. Non ha mai raccontato del suo dolore, non è mai riuscita a spiegare che la sua non è cattiveria né arroganza, ma è sofferenza, è una ferita aperta che sanguina. Il bimbo nasce a luglio e quel piccolo scricciolo le ricorda i tempi felici, quando anche lei ha conosciuto le coccole e le cure della sua mamma. Quel poco affetto di cui è capace, Gianna tenta di riversarlo sul bimbo appena nato. A un certo punto, però, la giovane avverte il peso delle responsabilità e i desideri di una ragazza di sedici anni. Così quando Nino compie sei mesi, inizia a frequentare il nido e Gianna un corso professionale da parrucchiera, in maniera tale da poter imparare un mestiere e in cuor suo liberarsi del bimbo per qualche ora al giorno. A scuola la ragazza non dice a nessuno di avere già un figlio, impara in fretta e a diciotto anni ha già un mestiere e non vuole più essere seguita dalla casa famiglia. Trova un posto dove stare in condivisione con le amiche del corso, portando con sé Nino, presentandolo come suo fratello. Per il piccolo diventa divieto assoluto pronunciare la parola “mamma”…

Un percorso coinvolgente e sconvolgente quello di cui narra Valeria Benatti nel suo Da oggi voglio essere felice, un libro che racconta il mondo delle comunità residenziali per minori, dal punto di vista strettamente oggettivo e da quello dei sentimenti, che costituiscono le fondamenta delle strutture di accoglienza. Nino è un bimbo di cinque anni, molto più maturo della sua età, che arriva in comunità perché sua madre Gianna è tossicodipendente e non è in grado di prendersi cura di lui. Il piccolo deve affrontare il repentino distacco da quella madre tossica, che lo rifiuta, ma che lui ama così com’è, che teme di ferire, di cui si preoccupa e sulla quale riversa comunque la comprensione e l’amore che possono appartenere solo a un bimbo cresciuto troppo in fretta. Gianna, suo malgrado, cerca di curarsi, perché come hanno spiegato a lei e a Nino devono fare entrambi dei “passettini” per potersi un giorno ricongiungere. Il bimbo quei “passettini” li fa, rendendosi conto che esiste un mondo diverso dalla casa occupata in cui vivono, un mondo fatto di igiene, cura, affetto incondizionato e di doni che vengono offerti senza chiedere nulla in cambio. Monica e Pietro sono due degli educatori che cercano di alleviare le sofferenze di quei bimbi martoriati dalla vita e da chi avrebbe dovuto prendersi cura di loro. Perché Nino non è il solo a non aver vissuto l’infanzia: c’è anche Giulia con la sua aria strafottente che nasconde chissà quali sofferenze e poi Franco che è stato improvvisamente scaricato dai suoi genitori davanti alla porta della comunità, con la promessa che sarebbero tornati a riprenderlo. E poi ci sono Jo, Elena, Leonardo, Max, tutti con i loro fardelli colmi di dolore e patimento. Nino qui recupera la sua serenità, ma quasi si sente in colpa per Gianna, quella madre di ventuno anni, quella ragazza sventurata, di cui nessuno comprende subito il dolore sopito, di cui tutti capiscono che è vittima della vita ma nessuno riesce a vedere quella terribile verità che la giovane cela nel cuore. Un libro-testimonianza Da oggi voglio essere felice, in cui la Benatti disegna in maniera struggente e decisamente realistica il cammino di un bimbo sottratto alla famiglia e affidato alla comunità. In tale concreta descrizione, l’autrice non trascura il rapporto madre-figlio, creando con il suo libro una sorta di contenitore di informazioni che tratteggiano in modo nitido le modalità educative e relazionali delle comunità di accoglienza per minori e le emozioni che ne derivano. Le vive sensazioni dei protagonisti del percorso, figlio e mamma, diventano un tutt’uno con quelle degli educatori, che prendono per mano il bimbo, donandogli serenità in un percorso duro e tutto in salita, in cui loro stessi a volte si sentono impotenti e vicini al crollo emotivo. Bella la scrittura della Benatti, che in maniera lineare e toccante descrive il dramma di Gianna, una madre che chiunque sarebbe pronto ad additare e giudicare, ma che a sua volta è vittima non solo della violenza, ma di una cieca società. Da oggi voglio essere felice non è un libro che nasce dal nulla o solo da un’approfondita informazione, ma conosce la luce dopo l’esperienza di volontariato di Valeria Benatti – sensibile da sempre ai problemi sociali e lei stessa vittima della violenza di una relazione infernale dalla quale è uscita viva per miracolo – presso una comunità di minori a Milano. La scrittrice ha scelto di entrare in contatto con i più piccoli abusati e maltrattati e di riportare nel romanzo le informazioni, il suo vissuto e le più schiette emozioni che queste anime martoriate le hanno donato.