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Dall’inferno - Due reportage letterari

Dall’inferno - Due reportage letterari

Trovarsi una sera per sbaglio all’ingresso della grande acciaieria di Taranto, con un foglio di fresca assunzione in mano e cercare l’operaio esperto che dovremo affiancare per imparare bene il mestiere: può essere una fortuna insperata, la ruota della sorte che finalmente gira nel senso giusto, ma può essere anche il giorno sbagliato per iniziare, quello peggiore per essere iniziati al mondo, anzi al sotto-mondo, del lavoro in fabbrica, soprattutto se proprio quella sera il cielo ha deciso di piovere a dirotto. Finire sballottolato da un insediamento di operai ad un altro, da un ufficio all’altro, dalla burocrazia alla faciloneria, in un mondo dove nessuno sa, o forse tutti sanno soltanto qual è il loro destino, quello di Pasquale, un altro morto sul lavoro. La protesta monta, i cancelli sono presidiati dalle guardie, partono i manganelli. Forse è il giorno sbagliato per iniziare a lavorare, forse è il posto sbagliato: quello è l’inferno... Ha un pensiero diverso, ma non tanto, Orazio Lobo, risvegliatosi da un coma profondo e immerso da anni in un altro inferno, quello dei carrugi di Genova, del quartier Sampierdarena, quello dei negozi da annotare, delle colonne che spuntano dal cielo, nell’unico vialone chilometrico della città, quello che improvvisamente srotola la città altrimenti rintanata su se stessa. Il compito di Orazio è chiaro, almeno è chiaro a lui: sorvegliare per evitare la catastrofe, ogni giorno annotare i segni che gli altri non vedono, raccogliere i segnali che ci avvicinano al disastro, che avvicinano Genova, ignara, alla sua più grande ferita...

Umé di Cosimo Argentina e Bestïn di Orso Tosco sono i due romanzi brevi, detti anche reportage letterari nel sottotitolo del libro, che compongono le balze straordinarie di un inferno che di dantesco non ha nulla, perché sembra abbandonato da ogni finalità didascalica e da ogni velleità morale, da ogni barlume di rimorso: esistono gli uomini che si muovono come formiche in una quotidianità fatta di espedienti, lavoro, fatica, ma soprattutto sopravvivenza, quasi gelidi e meccanici nei loro movimenti, privi dell’anima, se mai l’hanno avuta. Sono due romanzi cupi, invischiati di bassezze umane e di rassegnazione, incapaci di provare sentimenti di riscatto, schiacciati da un sistema nel quale non riescono ad integrarsi e che di fatto non cercano neanche di combattere. Soltanto sopravvivere, a qualunque costo. Indubbiamente la proposta di minimum fax è molto coraggiosa, per i temi di cocente attualità (l’acciaieria killer di Taranto e la desolazione del ponte Morandi di Genova), perché la narrazione va oltre la cronaca, la spersonalizza rendendo in modo efficace il senso di un progressivo avvitamento verso l’inevitabile, sia esso la morte in fabbrica per i tumori che nascono dal lavoro senza adeguate protezioni, sia essa il crollo di un ponte. In entrambi i casi c’è la mano perversa dell’avido uomo che sfida le leggi dell’umanità stessa. Fin qui le affinità: nello stile (impastato di dialetto quello di Cosimo Argentina contro quello nevrotico e tutto italico di Orso Tosco), nei personaggi, nei punti di vista della costruzione della storia (nel primo il protagonista è spettatore allucinato, nel secondo invece è ossessivamente cronachistico) si consumano delle stridenti differenze che anziché straniare il lettore, quasi l’appagano. I due testi per molti versi si completano perché sono due quadri di due italie differenti, ma contigue e continue, viste con gli occhi di due diverse generazioni (del 1963 Cosimo, del 1982 Orso). Un bell’esperimento, travolgente, senza respiro, come deve essere un viaggio di sola andata, senza ritorno, all’inferno.