
“Ho fatto delle descrizioni. Ecco tutto quello che so della mia critica in quanto critica. E descrizioni di che cosa? Di altre descrizioni, ché altro i libri non sono”. Il 26 novembre 1972 si inaugura sul settimanale “Tempo” (ormai scomparso dalle edicole da molti anni e che non ha nulla a che fare con il quotidiano “Il Tempo”) la rubrica “Letteratura”, a firma di Pier Paolo Pasolini. È la terza volta che il poeta, scrittore e cineasta tiene una rubrica fissa su di un settimanale a grande diffusione, ma per la prima volta si tratta di recensioni librarie. La rubrica prosegue fino al 24 gennaio 1975, però il presente volume non raccoglie tutte le puntate – ovvero le recensioni – pubblicate in questo arco temporale, perché quindici articoli tra questi furono raccolti (assieme ad altrettanti pezzi usciti sul “Corriere della Sera” e a sedici usciti su testate varie) e pubblicati già dallo stesso Pasolini nel 1975 nel volume intitolato Scritti corsari. I titoli delle recensioni uscite su “Tempo” erano redazionali e Graziella Chiarcossi, curatrice di questo Descrizioni di descrizioni ha preferito sostituirli con il nome dell’autore e il titolo del libro di volta in volta recensito. Sono state anche ripristinate le stesure originali, senza i tagli talvolta apportati dalla redazione della rivista (per ragioni quasi sempre di spazio). Novanta recensioni che si occupano di autori come Alberto Arbasino, Goffredo Parise, J. Rodolfo Wilcock, Marcel Schwob, Witold Gombrowicz, Italo Calvino, Joris-Karl Huysmans, Enzo Siciliano, Carlo Cassola (tre volte), Anna Banti, Giacomo Debenedetti, August Strindberg, Dario Bellezza, Lalla Romano, Louis Ferdinand Céline, Leonardo Sciascia (due volte), Raffaele La Capria, Alberto Moravia, Fëdor Dostoevskij (due volte), Giorgio Bassani (due volte), Junichiro Tanizaki, Andrea Zanzotto, Dacia Maraini, Danilo Dolci, Mario Soldati e molti altri. Classici, novità, recensioni positive e recensioni negative, ma soprattutto un potente amore per la letteratura e la lettura…
A mezzo secolo di distanza, i discorsi che si fanno intorno a quell’arte a metà strada tra critica letteraria e giornalismo culturale che è la recensione libraria – nonostante il panorama letterario, editoriale, culturale, sociale, politico e finanche tecnologico (chissà se Pier Paolo Pasolini ha mai sospettato che questo fattore sarebbe stato così decisivo anche in questo ambito) – sia mutato in modo profondissimo rispetto ai primi anni Settanta, sono abbastanza simili. Riguardo alla logica secondo cui si sceglievano i titoli da recensire, Pasolini scriveva allora: “I libri di cui si parla sono scelti (…) un po’ secondo le regole del lancio industriale, un po’ secondo le regole del sottogoverno. (…) Tutto interessa in essi fuori che il loro valore e la loro autenticità. Interessa ciò che essi socialmente rappresentano, ecco tutto. Di un libro si parla perché la moda, la casa editrice, il direttore del giornale, la comune posizione letteraria o ideologica (ma in un senso puramente pratico e personale) vogliono che se ne parli. Verso un libro non si sente più non solo amore (l’amore disinteressato per la poesia), ma neppure interesse culturale”. E lo avrebbe scritto anche oggi, senza cambiare una virgola. Nella sua rubrica su “Tempo” Pasolini si occupa di novità librarie pubblicate da persone della sua cerchia, come avviene anche oggi soprattutto su quotidiani e riviste cartacee, ma lo fa almeno senza trionfalismi (e si parla spesso di giganti della letteratura italiana, per giunta! Non delle mezze figure incensate oggigiorno), risparmiandoci enfasi fuori luogo. E con una certa riluttanza che non si cura di nascondere: “Si sente, oh se si sente, come va su il tono, come si allarga il respiro, quando Pasolini cambia aria – e lo fa il più spesso possibile – parlando di altre letterature e altri tempi”, sottolinea sarcastico Giampaolo Dossena nella sua introduzione all’edizione 1996, che è stata prudentemente sostituita nelle ristampe più recenti. Hai visto mai qualcuno si offenda.