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Devo essere brava

Devo essere brava

Sara si sveglia, e suo padre non è in casa. Non è morto, non è uscito a passeggio, e non è stato rapito contro la sua volontà: se n’è andato, semplicemente. Ha cambiato casa senza avvertirla. I suoi vestiti non sono nell’armadio, e nemmeno ammucchiati nella sedia. Il letto non ha più le lenzuola. Sara gli manda un messaggio, ma non ottiene risposta. Scende al piano di sotto, magari Cinzia Nerozzi può aiutarla. Niente, non fa in tempo a chiederle dove possa essere suo padre che la donna attacca a parlare dei suoi fiori artificiali: roba che va fortissimo, ma che non le fa guadagnare tanto da potersi comprare quel bel orologio d’oro in vetrina dal signor De Fosca. Tempo perso con Cinzia. Non è cattiva, ma è una donna faticosa, egoista. Dice sempre a Sara che è grassa, che deve mangiare di meno. Come se la già scarsa autostima della ragazza avesse bisogno di essere colpita. Sara si incammina verso la scuola, lungo il tragitto scambia messaggi vocali col suo adorato fratellino “puzzacacca” Rocky. Ha nove anni Rocky, ed è un bambino speciale che deve stare rinchiuso in una struttura, ma non per questo ha perso la sua immaginazione e la voglia di divertirsi. Sara e Rocky hanno un piano: la “Grandiosa Evasione dalla Residenza Scolastica Demoniaca”. Sara ha promesso di venire a prendere suo fratello il nove febbraio, il martedì successivo, il giorno del suo diciassettesimo compleanno, e di portarlo via con la “Stanza Galleggiante”. Ha promesso, ma deve trovare suo padre, perché è lui che ce la deve accompagnare. Finalmente suo padre la contatta, chiede perdono, piange. Dice che le ha lasciato dei soldi in cucina, dietro il rubinetto del lavello. Che non sa quando tornerà, che ha bisogno di tempo. E che sa bene di non essere un bravo padre. Ma Sara non è d’accordo. Possono farcela. Possono essere ancora una famiglia, una famiglia adeguata a liberare Rocky e riportarlo a casa. Invece di prendere l’autobus per la scuola, Sara prende quello successivo; sta all’erta davanti al finestrino, sperando di beccare suo padre che esce da qualche portone del quartiere. Si ferma al centro di Roveto, entra al “Bar degli Uomini” (“Bar Enzo” in realtà, ma Sara non ci ha mai visto dentro una donna): è lì che suo padre prende il caffè prima del turno serale. Nessuna traccia, nel bar ci sono solo tre persone: uno è Ercolino, il bibliotecario del paese, e due guardano Sara in modo vergognoso, tanto da costringerla ad andar via senza prendere niente. Suo padre non si trova nemmeno alla chiesa di Sant’Esmé, e di chiedere a Don Walter se per caso lo ha visto non se ne parla, altrimenti comincia a fare un sacco di domande alle quali Sara sa di non riuscire a sottrarsi. Quando finalmente raggiunge la scuola non riesce a concentrarsi sulla lezione di matematica. Lavinia, la sua (ex) migliore amica, la raggiunge in bagno, preoccupata, ma Sara la respinge. In questo momento è troppo depressa, e la sua amica è – come sempre – troppo bella da sopportare…

Intensa, graffiante, arrabbiata. La voce di Sara non è altro che un disperato grido di aiuto: perché diciassette anni sono troppo pochi per portare sulle spalle il peso di una famiglia in frantumi. Perché, mentre gli adulti latitano anziché provare a ricomporre i pezzi, Sara deve anche fare i conti con i piccoli, grandi problemi di un’età difficile: le insicurezze dettate dall’avere un corpo troppo morbido; lo scarso rendimento a scuola; la voglia di sperimentare la più vasta gamma di emozioni possibili. Il desiderio ardente di essere popolare anziché invisibile. Che fine ha fatto dunque colui che avrebbe dovuto proteggerla? E perché sua madre è un’egoista, una donna disturbata sulla quale non si può mai contare? Il cuore in tumulto di Sara vaga per una provincia sapientemente rappresentata nel suo grigiore, nella sua immobilità, nel suo essere giudicante; un luogo apparentemente senza prospettiva, nel quale è difficile intravedere la speranza. Chi la aiuterà a restare sulla retta via? Qualcuno le tenderà la mano per evitare che si avvicini troppo all’orlo dell’abisso? Alessandro Q. Ferrari, classe 1978, è uno sceneggiatore di fumetti e cartoni animati, una carriera iniziata nel 2005 durante un corso presso l’Accademia Disney di Milano; tra i suoi lavori, la graphic novel Star Wars The original Trilogy, che nel 2016 è stata un bestseller mondiale nella top ten del “New York Times”. Come autore, Ferrari si è ancora cimentato nel genere young adults (un genere nel quale, come lui stesso racconta, si è imbattuto casualmente) nel suo libro d’esordio Le ragazze non hanno paura nel 2018, il quale ha riscosso un grandissimo successo di pubblico e critica. La sua scrittura è nel contempo feroce e aggraziata, ed è straordinario come l’autore riesca a vestire in modo del tutto naturale i panni di protagonisti adolescenti. Ancora di più in questo suo ultimo lavoro, nel quale si immedesima alla perfezione in Sara: accompagnata da una dolorosa sensazione di inadeguatezza, costretta suo malgrado ad essere forte mentre vorrebbe solo lasciarsi andare alle sue lacrime ed essere rassicurata. Un esempio decisamente positivo di coraggio e vitalità, nonostante la tendenza alla trasgressione delle regole a dispetto del suo mantra “Devo essere brava”: un mantra che le ricorda la cosa più importante di tutte, l’amore incondizionato per Rocky, quel fratellino tanto sfortunato quanto simpatico e pieno di vita con il quale spera di riunirsi presto.