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Diario russo

Marzo 1947, New York. Lo scrittore e giornalista John Steinbeck, celebre e assai apprezzato da critica e pubblico ma ormai da qualche tempo in piena crisi creativa, siede su uno sgabello del bar del Bedford Hotel, sulla 40esima strada est. In quel periodo sta scrivendo una commedia, ma nonostante sia alla quarta stesura sente che si è “sciolta e dispersa tra le dita”, quindi si chiede sconsolato cosa fare sorseggiando una delle mitiche Suissesse del barman dell’hotel assieme al leggendario fotografo Robert Capa, anche lui al momento senza un incarico concreto e nemmeno un progetto che lo affascini davvero. Bevendo e chiacchierando, i due sfogliano i giornali sparsi sul bancone: sono pieni di notizie sull’Unione Sovietica e su Stalin, la guerra è finita da poco e l’ex alleato contro Hitler sta mettendo le mani su metà del mondo e diventando quindi una oscura minaccia. Steinbeck e Capa riflettono sul fatto che si fa un gran parlare dell’esercito, delle industrie e della politica sovietica, ma nessuno apparentemente sa o si domanda come vivono davvero i russi. Un reportage allora sarebbe davvero una meraviglia, no? Testo di Steinbeck, fotografie di Capa, tenendosi “alla larga dal Cremlino, dai militari e dai piani militari” e raccontando solo la quotidianità del popolo russo, la vita di tutti i giorni nella immensa terra di Stalin, ecco cosa ci vuole. I due ne parlano a George Cornish, direttore del quotidiano “Herald Tribune”, che appoggia l’idea. Ora si tratta di ottenere il visto per l’URSS: Steinbeck, scrittore famoso con fama di filo-socialista, lo ottiene abbastanza facilmente, ma le autorità sovietiche sono perplesse su Capa: “Abbiamo anche noi un mucchio di fotografi in Unione Sovietica”, spiegano. Steinbeck si impunta e ottiene il visto anche per il fotografo e dopo qualche mese – lo scrittore nel frattempo si è rotto una gamba per un banale incidente – giunge il momento di partire. Un aereo li porta fino a Stoccolma, un altro fino a Helsinki e qui bisogna prendere un aereo sovietico, perché nessuna compagnia aerea straniera può entrare in URSS. È un vecchio C-47, lento e malandato e ancora con la verniciatura di guerra…

Rielaborazione in forma narrativa di una valigia zeppa di taccuini, Diario russo è il resoconto del viaggio di trentaquattro giorni (dal 31 luglio 1947 al settembre dello stesso anno) compiuto da John Steinbeck e dal leggendario fotoreporter Robert Capa (al secolo Endre Friedman), all’alba della Guerra Fredda e con l’Unione Sovietica ancora in macerie a causa della ferocia nazista. È un volume di poco più di 300 pagine, in cui la prosa vibrante di Steinbeck – impareggiabile come sempre nel descrivere con pochi tratti decisi la semplice complessità e la dolente cadenza del sentire popolare – si accompagna mirabilmente con la potenza espressiva ed estetica delle meravigliose foto di Capa: bambini, donne, contadini, operai e residui bellici. C’è anche qualche pagina scritta da Capa, uno scherzoso “lamento” nei confronti del burbero compagno di viaggio. I due viaggiatori occidentali erano ovviamente sorvegliati e accompagnati da una “guida” imposta dalle autorità sovietiche, ma non di rado riuscirono a eluderne gli sforzi e a entrare in contatto con persone non “ammaestrate” e a documentare situazioni tutt’altro che edulcorate. Ciononostante non è certo questo un reportage di denuncia dell’oppressione stalinista questo, emerge con molta più forza dalle pagine un feroce attacco alle barbarie perpetrate dall’esercito del III Reich sul territorio russo e ucraino: non dimentichiamo che la Seconda Guerra Mondiale era finita da soli due anni ed era ancora al centro dell’attenzione e dei sentimenti di chi leggeva e di chi scriveva (e fotografava). Un reportage – per dirla con le parole dello stesso Steinbeck, che “non soddisferà né i chierici della sinistra né il sottoproletariato di destra. I primi diranno che è antirusso, i secondi che è filorusso”. Un’osservazione acuta e (facilmente) profetica, se si considera che negli Usa il libro fu considerato un’agiografia sospetta del regime di Stalin e finì sotto la lente del maccartismo, ma anche in URSS dopo qualche anno di compiacimento, Diario russo – assieme a tutte le opere di Steinbeck – fu messo fuori legge.