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Diavoli di sabbia

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Rodolfo ha avuto un incontro con Iris, in carcere. Iris ha ucciso il marito, quattro anni prima, ma ancora si rifiuta di accettarlo. Quella donna, secondo Rodolfo, ha una pazienza sanguinaria e, notte dopo notte, torna a compiere il delitto in modo diverso nella sua mente. In questo modo è come se centuplicasse la propria pena e fatica a trovare pace. Rodolfo trova che la donna sia acuta e anche affascinante. Peccato, però, che sia davvero insopportabile. Ora, dopo l’incontro, è a casa di Dora, dove può finalmente fare una doccia per togliersi di dosso la puzza di carcere. Si tratta di un misto di sigarette e ferro, di fogna e di canne, mescolato alle zaffate di sudore, perché i detenuti tendono a sudare moltissimo, per la paura o per l’ansia. Questa notte si fermerà a dormire dalla compagna. Alle quattro e dieci Rodolfo si sveglia di scatto. Ha avuto un incubo e ha bisogno di parlarne con Dora, che non apprezza per nulla il fatto di essere stata svegliata nel cuore della notte. Rodolfo ha sognato di averla uccisa, fracassandole una chitarra in testa. L’ha fatto perché, nel sogno, Dora gli rivelava di essersi innamorata di un tale di nome Mario. Dora ha tentato di scappare dalla finestra - il sogno si svolgeva all’interno di un carcere, dove ci sono finestre, al contrario di casa di Dora, dove non ce ne è neppure l’ombra - ma lui l’ha raggiunta e l’ha colpita con violenza alla testa. Dora, prima di provare a riaddormentarsi, gli confida che probabilmente la cena è stata troppo pesante per entrambi: lei ha parlato nel sonno e, forse, lo ha svegliato. L’uomo che Dora ha continuato a chiamare nel sogno, in realtà, si chiama Manlio, non Mario. E si tratta di una figura in carne e ossa. Manlio è sposato e quella che sta portando avanti con Dora è una storia simmetrica, una di quelle senza rischi e senza tormento. È uno di quei legami che Simone de Beauvoir chiamava “amori transitori”…

Tutto comincia da un dispetto. Quello che si insinua tra Rodolfo e Dora che, in una notte in cui il silenzio è interrotto dai fulmini di un forte temporale, si svegliano di soprassalto e si rivelano: lui ha sognato di ucciderla, lei ha gridato nel sonno il nome di un altro uomo. Ecco l’incipit originale e fortemente impattante dell’ultimo romanzo di Elvira Seminara - giornalista e scrittrice siciliana, residente a Roma, con diversi romanzi all’attivo tradotti in più Paesi -, una storia che, come per i precedenti lavori dell’autrice, è una profonda riflessione sulle fragilità che si nascondono tra le pieghe dei complessi rapporti umani, specie quelli di coppia. A partire dal titolo - che richiama i dust devil, quei vortici di sabbia e polvere che si manifestano in genere nei deserti e travolgono in pochissimo tempo tutto ciò che incontrano - immediata è la sensazione di instabilità e imprevedibilità che permea l’intero lavoro. Lavoro che, d’altra parte, è una vera e propria sperimentazione anche a livello linguistico e strutturale: non esiste voce narrante e la totalità della narrazione è affidata ai dialoghi, che si rincorrono tra le pagine come un vero e proprio vortice, che gira su se stesso e termina nell’esatto punto in cui tutto è iniziato. Ma, alla fine, nulla è uguale a ciò che era. La Seminara ha abituato il lettore alla sperimentazione narrativa: nei suoi precedenti lavori ha utilizzato il romanzo in forma di catalogo, è ricorsa a un io narrante doppio e si è cimentata anche nell’autofiction. In quest’ultimo lavoro, poi - un rincorrersi di dialoghi che raccontano bugie, segreti, tradimenti, irrefrenabile desiderio di farsi del male con le parole - il lettore è spinto a identificarsi con i personaggi, voci contemporanee che raccontano le nevrosi, i tic, le difficoltà nel creare relazioni. I dialoghi tra i vari attori del palcoscenico sul quale la Seminara li fa muovere diventano parole spesso mal interpretate o travisate, che finiscono per condurre i protagonisti da un inciampo all’altro, nel turbinio vertiginoso di una giostra. Quattordici capitoli intensi, sullo sfondo di uno scenario fatto di pioggia battente che inquieta, in cui nessuno spazio è sicuro, mentre ci si scambiano ossessioni e solitudini e ci si affanna alla ricerca inconsapevole e disperata di ascolto.