
Nel 1957 l’Italia del Boom, in cui da tre anni esiste la tv, scopre anche le modalità di promozione dei consumi attraverso i filmati, veri e propri spot-cortometraggi, di Carosello, talmente graziosi che nemmeno i bambini se li vogliono perdere, e quindi fino al 1977 – va in onda per vent’anni – avranno generalmente il permesso di andare a letto un po’ più tardi, dopo la trasmissione, con poche eccezioni, come per lo sbarco sulla Luna: in quel periodo Alberto Ferrarese è un giovane di belle speranze e appassionato di musica che viene in più di un’occasione ingaggiato con le sue band per la realizzazione di alcuni jingle pubblicitari, anche di marchi prestigiosi e tuttora in auge, il che, nonostante lui e i suoi sodali non siano proprio i più scaltri affaristi sulla faccia della terra, gli permette di pagarsi l’università, che conclude nel leggendario 1968, mantenere un più che discreto tenore di vita e togliersi pure lo sfizio di suonare con artisti del calibro di Angel Pocho Gatti, Chet Baker, Antonello Vannucchi e tanti altri. Ma non è questo che lo avvicina al mondo della pubblicità, che sarà poi la sua fortuna, bensì, a pochi giorni dalla discussione della tesi in economia e commercio, la soffiata dell’amico pianista e poi docente di conservatorio Franco Cioci in merito al fatto che l’agenzia Arrow di Firenze sta cercando fotografi – e Ferrarese si diletta, ed è bravo, con l’obiettivo – per dei cataloghi di moda. Da lì a finire pure in Etiopia, a cambiare agenzia, la Leader, a fondarne una propria cercando sempre nuovi stimoli, e grazie persino alla prontezza di saper citare Plotino al momento giusto, il passo è breve…
Si avvicina a grandi passi all’uscita settimanale numero 3300, il personaggio cui deve il nome è in procinto di festeggiare il novantesimo genetliaco e venti-venticinque anni fa, soprattutto nei mesi estivi, la tiratura superava di gran lunga il milione di copie: Topolino non è semplicemente un fumetto, è un vero e proprio punto di riferimento. E l’amatissimo giornalino, insieme, per esempio, alle nascenti, all’epoca, televisioni private, è uno dei tanti e diversi protagonisti – viene infatti abbondantemente citato – a vario titolo e in varia forma dell’avventura entusiasmante, istruttiva e galvanizzante, fatta di alti, bassi, lavoro, impegno, ingegno e un pizzico di sana follia, di Alberto Ferrarese: una vicenda commerciale, pubblicitaria, umana, artistica, lavorativa, piena di aneddoti, ricordi, retroscena, slogan che hanno fatto epoca e sono diventati frasi formulari scolpite nell’immaginario collettivo, considerazioni, esperienze, accadimenti e quant’altro, raccontata in prima persona con passione, semplicità, simpatia e un pizzico di nostalgia per un mondo più serio, umano, calmo e rispettoso, in un testo ampio, esaustivo, ricchissimo di belle immagini e non solo. Nella seconda metà del 1976 – e per un decennio, con una collaborazione che poi si scioglie perché la vita è una delta di rivoli che vanno ognuno nella propria direzione, ma senza astio – il Gruppo Italiano Giocattoli (cosa esiste di più desiderabile di un balocco…), un consorzio di grossisti in crescita, capitanato da Gianfranco Aldo Horvat, affida la propria comunicazione a un’agenzia di pubblicità appena nata a Firenze, la Phasar di Alberto Ferrarese: è l’incipit di un cammino sulle ali della fantasia.