
Gloria ha 39 anni, un lavoro poco remunerativo da copywriter freelance, due figli problematici ormai grandi avuti in tenera età da un uomo che poi è sparito senza lasciare traccia, una dura separazione alle spalle e una casa a Roma in una zona periferica della capitale dove passare le giornate a scrivere. Sembrerebbe una vita (seppur segnata da ricordi dolorosi) abbastanza nella norma oggigiorno, ma tutto cambia quando Gloria conosce Ale, un affascinante dog-sitter con un grande complesso di Peter Pan che, dopo una storia d’amore travolgente durata sei mesi, la lascia per ritornare dall’ex fidanzata. I disperati giorni sono quelli che, da quel momento in poi, Gloria affida al suo diario che è obbligata a scrivere su consiglio della sua psicoterapeuta; dal diario della disperazione dove Gloria annota tutto il suo dolore, i pensieri negativi, la voglia di buttarsi sotto un treno per quell’amore finito, si passa al diario della ricostruzione: un reportage preciso e puntuale dell’amore con Ale, dai giorni bellissimi dell’incontro e della favola apparente a quelli terribili dell’abbandono. Sì, perché Ale non è l’uomo perfetto che a prima vista poteva sembrare e ricostruire la loro storia consente a Gloria di capire molte cose: la prima fra tutte, quella di essere vittima di una terribile dipendenza affettiva dalla quale guarire non sarà facile, soprattutto se le corde a cui la donna si è fatta legare consciamente sono state strette da un narcisista patologico e immaturo. Il risultato di quelle pagine scritte con furia e disperazione porta Gloria a una nuova consapevolezza rendendola, forse, una donna più matura e forte…
Probabilmente Disperati giorni di Gloria è un racconto semi-autobiografico che Emanuela Perozzi voleva far apparire come una “bildung” sentimentale che porta al riscatto totale della protagonista. Purtroppo, però, le aspettative non sono state del tutto esaudite: il romanzo-diario risulta pesante e ripetitivo (la sofferenza di Gloria è in tutte le pagine, quasi fosse un martello pneumatico che colpisce in testa il lettore) e, oltretutto, questo patimento non è il dolore di una donna matura conseguente alla rottura di un legame importante, centrale nella sua vita, ma un’ossessione maniacale per una storia che ha tratti infantili, quasi fanciulleschi: l’immaturità della protagonista, Gloria, è a tratti inverosimile, a tratti addirittura urticante. Se ci fosse stata, tra le righe, almeno un po’ di ironia, la capacità sardonica di leggere la sofferenza del distacco, la lettura sarebbe stata sicuramente più divertente e digeribile. Non è davvero realistico che una donna di quasi quarant’anni, con due figli problematici (la figlia femmina ha la sindrome di Asperger), una casa da mandare avanti, un lavoro precario da gestire, possa prostrarsi per amore al punto di non uscire di casa, non scollarsi mai dal divano e passare il tempo a mangiare e a piangere. Oltre a non essere molto verosimile, il romanzo in questo modo offre una visione della donna come essere fragile, dipendente dagli uomini, terribilmente acerba nei modi di pensare e di vedere la vita, quando è abbastanza ragionevole credere che non sia così: non serve negare che esistano pene d’amore, basta solo pensare che una donna che non sia una sedicenne sa sempre come superare le sofferenze e ha una scala di priorità che va oltre la fine di una relazione di sei mesi con un uomo oltretutto menefreghista e manipolatore. Una punta di autocritica e, soprattutto, la presenza di ulteriori punti di vista sulla storia oltre a quello incessante e scontato di Gloria avrebbero sicuramente reso questo Disperati giorni di Gloria un po’ meno disperato e soprattutto un po’ meno disperante.