Salta al contenuto principale

Disputa su Dio e dintorni

Disputa su Dio e dintorni

Un giornalista ateo, arrogante e pungente e un teologo dissidente, fautore di una rilettura moderna della Bibbia, entrambi con un fascicolo personale al Santo Uffizio (ex Santa Inquisizione) si confrontano sui temi della religione cattolica. Il giornalista, Corrado Augias, non crede, ovviamente, che l’uomo e la donna siano stati creati “per volontà di qualche Dio” e quindi sostiene che “nella nostra vita non c’è alcun significato trascendente”. Di natura opposta le riflessioni del teologo, Vito Mancuso: “non siamo frutto di un colpo di fortuna chimico”… C’è un aspetto biologico, ovviamente, ma anche uno spirituale nella misura in cui agiamo per il bene e la giustizia”. Augias insiste sulla considerazione che non sia necessario un dio per agire secondo giustizia, e in armonia con la natura e gli altri mentre Mancuso ribatte che “nell’amore incondizionato per il bene e la giustizia c’è un livello dell’essere che la biologia, (il gene egoista), non conosce”. Tra lo scettico e il teologo però, esistono alcuni punti di contatto; entrambi concordano che “perseguire la conoscenza sia un’esperienza che confina col sacro”, qualcosa di spirituale ma non necessariamente frutto di una religione. Il dibattito sulla Chiesa è tra i più accesi. Per l’uno la Chiesa si comporta esattamente come una qualsiasi istituzione politico/amministrativa, dimenticando che il suo potere è spirituale e non temporale, occupandosi di questioni che non la riguardano; l’altro, differenzia Chiesa celeste da Chiesa come istituzione, affidando alla prima il vero messaggio del Cristo e considerandola l’unione di chi agisce per il bene, concordando però, in alcuni passaggi, con la visione negativa del primo…

Opera estremamente coinvolgente, strutturata come un “botta e risposta”. Il merito lo attribuisco più a Mancuso che a Augias, a cui contesto l’atteggiamento presuntuoso e, a volte, irridente, attitudine molto in voga tra gli atei (“la vérité c’est moi”, si potrebbe dire, parafrasando Flaubert). Il teologo si contrappone con eleganza e fermezza, senza supponenza, parando ogni colpo con il suo enorme sapere, con la sua affascinante esposizione. Ho definito Mancuso “dissidente”, perché si oppone in maniera molto decisa ai dogmi della religione cattolica, quando vi riscontri la necessità di uno svecchiamento, perché è molto critico, e lo è obiettivamente, verso gli errori che la Chiesa ha commesso, nei secoli e in tempi molto recenti (ricordo il divieto di celebrare il funerale cattolico a Piergiorgio Welby). La parte che riguarda il male è la “manifestatio” della grande libertà critica del teologo brianzolo, un teologo che non ha paura di dire che la dogmatica cattolica tradizionale non è ancora riuscita a dare un senso all’esistenza del male se non come “mistero” e cita l’esempio di Eluana Englaro, chiedendo a sé stesso e al lettore come mai Dio non sia intervenuto: “sarebbe bastata una leggera deviazione del volante con un cenno impercettibile, un gioco da ragazzi per uno che ha creato il mondo”. Solo per questa frase varrebbe la pena leggere il libro. Dal canto suo, Augias recita (?) egregiamente il ruolo di provocatore, ma le sue affermazioni risultano al limite della derisione una volta di troppo.