
Disforia di genere. Transessualismo. Passaggio. Le poesie di Vivinetto ci dicono di questo, di come sia nascere due volte, di cosa significhi rivivere il mito di Tiresia (“Quando nacqui mia madre/ mi fece un dono antichissimo/il dono dell’indovino Tiresia:/ mutare sesso una volta nella vita)”. La fuoriuscita della propria vera natura non avviene senza annegamenti e strappi. Quando hai due facce che non si sovrappongono e ci si trova, soprattutto nell’infanzia e nella pubertà, in un cespuglio indefinito e nello stesso tempo dicotomico, il sentimento è questo: “Non mi sono mai conosciuta/se non nel dolore bambino/ di avvertirmi a un tratto/ così divisa/ Così tanto/ parziale”. Un altro elemento naturale, il bosco, simbologia psicoanalitica del luogo dell’ombra, del nostro subconscio, diventa cura, “La salvezza del bosco/ è poter scavare nella terra/ gravida una cura – la possibilità/ di rinascere senza darlo a vedere/ Il bosco è pieno di ancore/ invisibili e madri silenti. L’agosto di quattro anni fa/ sono rinata in una piccola tana/…quell’agosto compresi/ cosa volesse dire essere/ femmina veramente”. Giovanna, nata Giovanni, segregata in una trappola nella quale la natura, distrattamente, l’ha costretta, trova un secondo utero da cui nascere, nuovamente, per partenogenesi: “Fu allora che mia madre/ si perpetuò in me”. Per diventare ciò che siamo e non ciò che appariamo, si deve passare anche per qualche forca: «Transessuale è una parola terribile./ Mi inganni dici. «È così –/ rispondo – è sempre stato così»/...«È solo che non si capisce – esiti –/ a vederti sembri una normale»…
Giovanna Cristina Vivinetto, siciliana ventiquattrenne, una laurea in lettere e una prossima in filologia, scrive poesie: empatiche, profonde, invadenti. Racconta, in versi, la sua lotta (profondamente interiore) per l’affermazione del suo vero sé, della donna nata nascosta. Alla luce di questo che immaginiamo essere un percorso doloroso e complesso, stupisce il titolo; ci si aspetta che il dolore sia massimo. E certo lo è stato, ma adesso, nella riflessione a mente fredda di cui le poesie sono espressione, è minimo, è ricordo, è dolore cronico ma sottile, con cui convivere, con la serenità che questa ragazza dagli occhi bellissimi trasmette quando la si incontra. Donna e madre sono le parole cardine che sorreggono la struttura dell’intera raccolta, spesso unite nel meraviglioso quadro di figlia madre di se stessa. Per noi che siamo nate donne anche fuori e che probabilmente diamo per scontato la nostra stessa essenza (il femminino), leggere Giovanna è scoprire la nostra verità ontologica, è rivedere la Grande Madre, il suo grande utero. Il viaggio a ritroso che la poetessa compie, è marcato a livello cronologico: una scoperta, un’età. Un percorso a tappe, che ci illustra la lenta ma inesorabile acquisizione prima della doppia identità, contrapposta e poi il superamento dell’entità fisica fasulla, ingannatrice, involucro della verità. Giovanna come Calliope che diventa Cal, in un cammino al contrario, nel bellissimo Middlesex di Jeffrey Eugenides. Vivinetto ha scritto un libro necessario, sicuramente per lei, ma anche per chi avrà il coraggio di accostarsene e anche per gli “haters” che la stanno già attaccando, nel nome della purezza della distinzione per nascita tra maschile e femminile. Quanto siamo stanchi di questo bigottismo?