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Donne e Confini

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La pandemia di COVID-19 ha comportato un ispessimento dei confini nazionali cui da tempo non eravamo più abituati, specialmente in Europa. Questo fatto ha comportato delle limitazioni per chi, come l’autrice, era abituata a muoversi in spazi nazionali, contesti culturali e accademici diversi. Ma ha comportato anche delle riflessioni profonde per chi, come l’autrice, conduce da anni una ricerca sulle relazioni transfrontaliere sul confine nord-orientale italiano, quell’area in cui nell’ultimo secolo i confini sono stati ridisegnati e ritracciati più volte, alla ricerca di una fantomatica “linea pura” della nazione, con sofferenze per tutti. Ne nasce così un lavoro che è a metà un diario dei giorni della pandemia e un brogliaccio di appunti di ricerca di una donna che vive proprio a cavallo di quel confine che all’improvviso diventa invalicabile e che su quel confine ha impostato la sua ricerca e la sua carriera accademica. Ricerca che verte soprattutto sul ruolo delle donne nell’economia contadina e sul rapporto fra contado e centri urbani di quello che era un tempo il multietnico Litorale austriaco (Trieste, Gorizia, l’Istria). Le fonti, ad esempio, mettono in risalto il ruolo delle donne nel commercio del pane grazie ai mulini della Rosandra a nord-est di Trieste, un commercio che dava loro un ruolo prominente nelle decisioni familiari e che fu messo in seguito in discussione. Oppure le lavandaie, per lo più slovene, provenienti dalle aree rurali, ma con il privilegio di entrare nelle case borghesi dei contesti urbani, per lo più italiane, e afferrare qualcosa della loro cultura ed educazione. Cosa che infastidiva le retoriche nazionaliste e gli ideologi dell’amor patrio, specialmente da parte slovena. Fu poi la politica di italianizzazione forzata perseguita dal fascismo ad avere forti ricadute sui centri urbani e quindi sull’economia delle domestiche…

In questo libro c’è un continuo alternarsi fra presente pandemico e storia del Novecento. Mentre nel presente l’autrice osserva “un mondo abituato all’attraversamento costretto a fermarsi”, nei capitoli storici, compulsando per lo più le fonti slovene, raccoglie esperienze femminili come quella delle profughe fra Grande guerra e ascesa del fascismo, che nella condizione di profuganza videro ampliarsi alcuni spazi d’autonomia del loro agire quotidiano. Ci racconta di come anche esponenti della classe media, come insegnanti e scrittrici, furono costrette ad abbandonare Trieste dalle violenze squadriste fasciste, per poi vedersi nuovamente spinte verso l’Italia dopo l’annessione nazista dell’Austria, finendo in molti casi nei campi di internamento diffusi lungo tutta la Penisola. Oppure l’esperienza delle cosiddette “alessandrine”, cioè coloro che trovarono fortuna negli anni d’oro del controllo occidentale del canale di Suez, prima della nazionalizzazione dello stesso da parte dell’Egitto di Nasser. Verginella compie una disamina di quell’esperienza e di come essa venne messa in discussione dalla letteratura slovena del secondo Novecento. Viene a comporsi questo agile libretto ibrido che intreccia passato e presente e che riflette sulle trasformazioni dei ruoli femminili e su come i concetti labili, variabili, trasformabili di “confine”, di “nazione” e di “patria” agiscano su di essi.