
1890. Un uomo e una donna stanno discutendo. Sono marito e moglie e si trovano nell’aia polverosa di una cascina. Ermelinda, pur se piuttosto minuta, è dritta come un fuso. Ha i capelli raccolti in una crocchia ed è completamente vestita di nero. Sta dicendo che se il marito non acconsentirà a lasciarla andare a Pavia, lei si butterà nel pozzo. L’uomo, Giovanni, scuote il capo. Sa già che la donna avrà la meglio e, quando Ermelinda raccoglie sul fianco la gonna con una mano e si dirige rapida verso la casa, lui resta sull’aia e guarda intorno a sé. È tutto così tranquillo lì, nella sua casa e nella sua famiglia. Perché qualcosa dovrebbe cambiare? Si sente un po’ confuso e scoraggiato, ma Ermelinda ha già deciso e non ci sarà verso di farle cambiare idea. Lei, infatti, all’interno della casa, sta già spiegando ai figli cosa sta per accadere: andrà per un po’ di tempo, due anni, a Pavia, all’Università – un grande palazzo, pieno di aule in cui i professori spiegano com’è fatto il corpo umano e soprattutto quello della donna, come cresce il bambino dentro di lei, come farlo nascere e come comportarsi se sopraggiungono problemi o malattie – dove potrà studiare per diventare levatrice. Si tratta solo di due anni di studio e poi Pavia non è davvero così lontana. Il papà la andrà a trovare ogni domenica e le porterà notizie dei figli. Giovanni ed Ermelinda di figli ne hanno già fatti parecchi: Angiolina, Ernesta, Pierina, Ginetta, Primo e Pino. Giovanni vorrebbe un altro maschio, perché il lavoro da fare è tanto e altre due braccia forti farebbero comodo. Ermelinda, però, non vuole sentire ragione. Prima di fare altri figli deve andare a Pavia e prendere il diploma da levatrice. Poi rientrerà in cascina e, grazie al suo nuovo lavoro, entreranno in casa più soldi e saranno tutti più tranquilli…
Antonella Olivieri, milanese, è stata per lungo tempo insegnante di Lettere nella scuola media. Da sempre appassionata di Storia, ha sentito l’esigenza di approfondire le vicende della bisnonna Ermelinda, donna capace di scelte coraggiose e difficilmente condivisibili in un’epoca in cui il ruolo della figura femminile era ingabbiato in una corazza dalle maglie strettissime. La stessa Olivieri racconta che “un giorno la curiosità mi ha spinto a comporre il suo nome sulla tastiera del computer, e dall’archivio digitalizzato dell’Università di Pavia è emerso lo scarno dato dell’iscrizione di Ermelinda Moggia di Ziano alla Scuola di Ostetricia nel 1890. Può sembrare strano, ma l’arido dato burocratico è stato fecondo, ha ridato carne e sangue a una donna, alle sue scelte non usuali per l’epoca, ai suoi progetti, ai sogni, alle sofferte e controverse decisioni che hanno portato lei, insieme a figli e figlie, lontano dal paese d’origine... Mi sono calata infine nella storia di quelle scelte audaci, riallacciando un legame che credevo definitivamente interrotto”. Ne è nata quindi una biografia romanzata che racconta il coraggio di una giovane sposa e madre che, a cavallo tra Ottocento e Novecento, decide di iscriversi all’Università di Pavia – allontanandosi quindi per due anni da casa – per diplomarsi come ostetrica, affrontando con determinazione i sensi di colpa verso i figli, ancora piccoli, e i contrasti con il marito. La storia personale e professionale di questa solida figura, tenace e grintosa, diventa riflesso della storia d’Italia, una nazione finalmente unita ma ancora piuttosto arretrata, in cui la mentalità è molto chiusa, le norme igieniche basilari sono spesso ignorate e partorire può essere davvero complicato. In tale contesto, emigrare – i paesi dell’America Latina rappresentano un miraggio per molti – diventa ghiotta occasione di emancipazione. E, una donna moderna come Ermelinda, al richiamo verso una nuova avventura non può che rispondere con entusiasmo e fiducia. L’Argentina diventa nuova casa, in cui portare il proprio sapere e mettersi a servizio degli altri, e nuova patria, perché “patria è dove c’è dignità”.