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Duma Key

A Duma Key Edgar Freemantle deve reinventarsi la vita: un incidente in cantiere l’ha quasi ucciso e lasciato senza il braccio destro, con buchi enormi nella memoria e difficoltà di linguaggio che lo rendono furioso. Insieme al braccio, anche l’esistenza di Edgar sembra essere stata amputata: Pam, la moglie, l’ha lasciato durante la sua convalescenza, e sembra che dal fondo della tetra solitudine dell’invalidità (nella quale ha anche pensato al suicidio) Edgar sia destinato a non risalire nonostante l’amore delle due figlie, Ilse e Melinda, e l’aiuto di un’ottima fisioterapista. Eppure. A Duma Key Edgar scopre di avere talento: nonostante si sia sempre limitato a scarabocchi senza senso sui taccuini messi accanto al telefono, l’isola e le conchiglie che, accarezzate dal mare, gli parlano di notte, la bambola di pezza che il suo psichiatra (il dottor Kamen) gli ha regalato per permettergli di scaricare la rabbia, il tramonto sul Golfo, una nave che compare e scompare all’orizzonte lo spingono a creare dipinti che nascono da un furore che non ha mai conosciuto, un furore che si associa al prurito dell’arto fantasma e a una fame indomabile quando l’opera d’arte è finita. A Duma Key, Edgar inizia a dipingere e a ritrovare qualcosa in grado di distoglierlo dai pensieri e dai ricordi più neri; dipinge forsennatamente quadri che lo coinvolgono completamente, lo stupiscono e inquietano, diventando presto l’occupazione dominante dei giorni e delle notti. In più, l’incontro con Jack, il giovane che lo aiuterà in tutta la sua permanenza sull’isola, e con lo strano ed estroverso Wireman durante una passeggiata sulla spiaggia gli regala due amici, e la consapevolezza che esista ancora la possibilità di fare qualcosa per rendere felice gli altri. Per guarirli, anche, perché i mesi a Duma Key insinuano a Edgar la strana idea che il talento pittorico nasconda altre inquietanti capacità che non ha mai sospettato di avere…

Le recensioni notturne scritte d’istinto al termine di un libro come questo risentono senz’altro dei contenuti e dell’atmosfera che solo Stephen King riesce a creare. Sussurri, passi sulle scale esterne, il pianto estemporaneo di un bambino hanno accompagnato la lettura delle ultime duecento pagine (su un totale di settecentoquaranta) nel cuore della notte. Con qualche sussulto. Non ho dubbi: Duma Key è un libro piacevole. Bello, potrei dire. Soprattutto nelle prime seicento pagine, quando può essere definito senza tema di smentita un vero romanzo con una trama e una costruzione impeccabile di personaggi ed eventi. Ci si culla, in quelle prime seicento pagine; si attende l’inevitabile tragedia finale perché l’autore è Stephen King, e perché con un po’ di crudeltà quella tragedia viene preannunciata da brevi ed enigmatiche frasi destinate a togliere la speranza, ma il cullarsi è il sogno di un’isola semideserta in cui esprimere finalmente il proprio talento senza limiti di tempo, persone, necessità pratiche. Le capacità pittoriche di Edgar Freemantle coinvolgono non perché legate a una magia strana, a un intervento sopra- o sottonaturale, come del resto si intuisce fin dal principio, ma perché i meccanismi sono esattamente quelli del talento creativo che nasce inatteso, prende possesso dei sensi e di ogni fibra del corpo e basta a se stesso. Basta per lenire il dolore, per regalare la sensazione della presenza di un arto amputato, per anticipare drammi o amori, per rievocare eventi sepolti nel passato. L’avventura di Edgar a Duma Key potrebbe compiersi nelle prime seicento pagine senza l’ausilio successivo di fantasmi e morti viventi, che, seppure previsti dal cliché di King, non fanno altro che togliere un po’ di profondità alla storia: Edgar che dipinge e per questo prevede, modifica il corso dell’esistenza, uccide e fa rinascere, non è altro che la parabola del creatore, di chiunque possieda un vero talento e sia tanto abile e fortunato da lasciarlo uscire. Favorito da un handicap fisico (altro bellissimo significato) che rende la persona più attenta e sensibile e, forse, senza il bisogno di un’isola per ricchi. Duma Key è un libro da leggere, sorridendo benevolmente al piccolo scivolone finale di King che proprio non può fare a meno di spappolare qualche cranio anche quando non servirebbe.