
Tutto nel Silo 18 sembra vibrare. Il sindaco Juliette Nichols si è messa alla testa di una squadra di operai che a bordo di rombanti scavatrici stanno perforando la parete di cemento del Silo. Coperti di sudore e polvere, quegli uomini e donne obbediscono ai suoi ordini nonostante la stanchezza, la tensione, vecchi rancori. Il cozzare di metallo contro metallo fa capire a tutti che la enorme parete è stata sfondata: cosa c’è dall’altra parte? L’onore di scoprirlo tocca a Juliette: torcia alla mano, si fa strada tra le macerie. Si trova ora in una enorme stanza piena di macchinari arrugginiti e ingranaggi ricoperti di grasso secco. Juliette avverte un senso di familiarità, sente di aver vissuto e lottato anni per arrivare a quel momento. Ma tra la gente del Silo 18 serpeggia l’inquietudine: e se attraverso la breccia i letali pericoli che sono fuori entrassero dentro?
Terzo e ultimo capitolo della saga blockbuster che ha catapultato Hugh Howey dal self publishing alla scena letteraria internazionale. Dopo la parentesi del prequel Shift, si riparte da dove ci aveva lasciato il primo omnibus, Wool. L’epilogo della claustrofobica vicenda del Silo è l’unico dei tre romanzi ad esser stato scritto tutto insieme pianificandone prima a tavolino il plot e non a puntate lasciandosi un po’ trascinare dai personaggi e dall’ispirazione del momento. Cosa del resto evidente anche dall’unità narrativa e stilistica, qui molto più forte che nei capitoli precedenti. La lettura di Dust se ne giova, e contribuisce a rendercelo simpatico anche la forte caratterizzazione da B-movie di genere: scontri, inseguimenti, colpi di scena (compreso un tamarrissimo ritorno dalla morte non vi diciamo ovviamente da parte di chi) si susseguono tenendo per fortuna alto il ritmo, ché la qualità letteraria invece è quella che è.